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Dopo Cristo, Perelà. Arriva leggero e innocente l'uomo di fumo che riscriverà il Codice. Più precisamente arriva al Teatro Litta con lo spettacolo Il Signor Perelà?! in scena dal 24 novembre al 14 dicembre 2008 e tratto dalla novella di Aldo Palazzeschi Il Codice di Perelà. Di ispirazone futurista, il romanzo è ben più che un semplice modello del movimento artistico e culturale che esplose in Italia nel 1909 con il Manifesto di Marinetti. La vicenda dell’omino di fumo che con la sua venuta sconvolge l'impero delle convenzioni diventa, nella sua frivolezza, senza tempo. Lo spettacolo, per la regia di Mariano Furlani, è la prima produzione della stagione del Litta, nonostante la genesi del progetto risalga a due anni fa, durante la lavorazione di Visioni di Solaris, altra produzione del teatro di corso Magenta. A tre attrici venne lanciata dal regista Antonio Sixty una sfida: portare in scena un testo scelto e elaborato in completa libertà, con a disposizione mezzi e spazi del teatro. A rendere concreto il lavoro delle tre giovani l'incontro con Mariano Furlani a cui va il merito di aver catturato e reso palpabile l'atmosfera ironica e insieme feroce del romanzo. Grazie al prezioso supporto di Raffaele Rezzonico, l'adattamento è insieme sintesi e superamento del testo originale: il coro di personaggi che accoglie Perelà è concentrato in tre voci dall'umanità tagliente. Bianca Delfino Bicco Delle Catene, una debole figura che trascina come un fantasma il suo amore per la non vita (e per la morfina); Donna Giacomina Bàrbero di Ca' Mucchio, femmina devota alle convenzioni, sui cui rituali della quotidianità basa ogni sua certezza. Infine la Duchessa Zoe Bolo Filzo apoteosi della femme fatale, feroce seduttrice e fredda dominatrice delle anime di tutti gli uomini. Vittime tutte e tre dell'illusione infranta chiamata uomo cercano di proteggersi, ognuna a suo modo, fino all'avvento di Perelà. A queste tre dame è dato il compito di ricevere l'Uomo di Fumo e subirne l'incanto. A tre giovani donne, in ordine Isabella Macchi, Stefania Umana e Sara Bellodi, quello di portarle sulla scena. La dimensione letteraria del testo si realizza nello spazio raccolto che è la sala LaCavallerizza del Teatro Litta, ricavata da una vecchia stalla. Su una scena essenziale ma multiforme, data da tre cassettoni mobili dipinti con il tricolore nazionale, vivranno le immagini della poesia di Palazzeschi. I costumi, realizzati da Marcella De Faveri, sono rappresentazione dei caratteri portati all'eccesso, esplosione di personalità immaginarie che danzano su sonorità futuriste. La struttura di convenzioni e buone maniere presa di mira con ironia grottesca e spietata, prende forma in una messa in scena che sfiora e combina il cabaret surrealista, le esperienze futuriste, il melodramma borghese.
Perelà? Risolverà? Si chiedono le tre Dame. Perelà prende forma nelle loro parole, nei loro racconti, impalpabile come un ricordo e, come la speranza, aureo. Un uomo perfetto, un amante ideale, il nuovo salvatore, il Dio che realizzerà ogni desiderio, crocifisso per risorgere. Egli è tutto questo ma plasmabile come una diceria, nei mormorii delle tre dame diviene anche il bugiardo, lo sciagurato che si approfitta della debolezza femminea: in fondo è sempre un uomo, mormora Zoe. Come il nuovo Gesù di The Second Advent di Mark Twain, il nebbioso messia di Palazzeschi una volta rivelato non verrà accettato dal suo popolo. E scacciato volerà via, nel cielo, risorgerà fra le nuvole. Come Cristo. Dopo Cristo. Perelà.
Antonino Valvo
Dal 25 novembre al 14 dicembre 2008
LITTA_produzioni
DEBUTTO NAZIONALE
SIGNOR PERELÁ?!
Da Il Codice di Perelà di Aldo Palazzeschi
Regia Mariano Furlani
Consulenza al testo Raffaele Rezzonico
Con Sara Bellodi, Isabella Macchi, Stefania Umana
Disegno Luci Fulvio Melli
Costumi Marcella de Faveri
Sala La Cavallerizza
Corso Magenta, 24 Milano
repliche dal martedì al sabato alle 21.00 – domenica 17.00 – lunedì riposo
biglietti € 12/ €9
Il cortometraggio all’Ariosto è “Cinebox” e “A tutto corto”. Il Cinebox è un contenitore che precede il film programmato nello spettacolo serale. Ai soliti trailer e alla pubblicità nazionale viene fatto seguire un cortometraggio. E’ un esperimento innovativo che cerca di dare risalto a opere che difficilmente troverebbero spazio e visibilità. Un tentativo che, di proiezione in proiezione, cerca di affiancare corti accuratamente selezionati al lungometraggio in cartellone. Periodicamente i corti passati sugli schermi dell’Ariosto vengono accorpati in un’unica serata a tema chiamata appunto A tutto corto. L’ultima si è svolta lo scorso 14 dicembre e vedeva la proiezione di quattro cortometraggi, presentati in sala dai rispettivi registi. Il prossimo 22 febbraio si replica… Opportunità non indifferente per cinefili e aspiranti registi è la possibilità di inviare corti fatti in proprio direttamente all’Ariosto che, con CBL Movie Italia, cerca nuovi corti da proiettare.
Questo rimane tuttavia un momento difficile per i cinema cittadini, le piccole sale devono fare i conti con nuove realtà (i tanti multisala e il ricorso sempre più rapido all’home video) e sono tanti quelli che nella nostra Milano hanno chiuso e dovranno chiudere. Recentemente lo splendor in zona Piola-Lambrate ha cessato la propria attività, prima è stata la volta del Nuovo Arti da sempre punto di riferimento per i film dedicati ai più piccoli, mentre dall’anno scorso il Metropol in viale Piave, una delle sale più antiche della città, si è trasformato in sede per le sfilate di Dolce&Gabbana (un esempio questo colmo di significato). L’Ariosto propone la sua ricetta per resistere nel mercato del cinema globale: film di qualità (fa parte del network Europa Cinemas) e quel fedele pubblico di quartiere che nell’epoca moderna, specie nelle metropoli, sembrava diventato pura utopia. Paradossalmente è invece quella ricerca del tradizionale, dell’antico, di (concedetecelo) quel po’ di milanese che affascina, a portare nuovi spettatori nella piccola sala di via Ariosto, in controtendenza rispetto alle migrazioni verso i rifugi dei tanti multisala fuori porta.
La libertà di parola e di pensiero sono alla base della struttura democratica, e i due comici ne hanno fatto uso come era giusto che fosse, consapevoli delle reazioni che avrebbero suscitato sia nel pubblico lì riunito, sia nell'opinione pubblica. Il punto è che qui non stiamo parlando di informazione o libertà, stiamo parlando di satira. E la satira è tutta un'altra storia. Aldilà della sua storia e del significato, la Corte di Cassazione ha dato questa definizione di satira: " [la satira] È quella manifestazione di pensiero talora di altissimo livello che nei tempi si è addossata il compito di castigare ridendo mores, ovvero di indicare alla pubblica opinione aspetti criticabili o esecrabili di persone, al fine di ottenere, mediante il riso suscitato, un esito finale di carattere etico, correttivo cioè verso il bene. " La satira è di natura contro il potere, ma non per questo il potere non se ne può servire: "Ritengo che la satira sia uno strumento utile nel dibattito politico […] il mio capo ufficio stampa ha avuto la disposizione di pormi in evidenza tutte le mattine gli attacchi alla mia persona. In questo modo posso correggere i miei eventuali errori. A mio avviso, alla satira non dovrebbero essere posti limiti, se non quelli suggeriti dal buon gusto". A parlare era il Presidente della Repubblica Sandro Pertini. Ma ancora: "La satira è stata sempre utile a un corretto sviluppo della politica, anche su un piano di radicazione culturale degli atteggiamenti critici […] i limiti devono essere lasciati al costume. Non credo compatibili con la libertà democratica limiti politici di qualsiasi natura." Parola del senatore Giulio Andreotti.
Ma se la satira non è politica, perché si è tentato di procedere giuridicamente contro Beppe Grillo e Sabina Guzzanti per le affermazioni di piazza Navona? Offesa al presidente della repubblica e a capo di stato straniero da uno a cinque anni di carcere, è stato detto. Gli interventi dei due comici erano opinabili ma i fatti su cui si basavano incontestabili. Quindi è il linguaggio che porta all'offesa. Ma la satira per sua stessa natura usa un linguaggio diretto, cattivo e, sì, anche volgare. Quello cercato di aprire è stato un processo alla satira come fenomeno di costume. Un discorso di esecrabile censura? La questione non è così semplice. Nei casi citati e in altri eclatanti (chiusura del programma di Luttazzi e della stessa Guzzanti) il problema è sempre stato la possibilità di poter comunicare a un gran numero di persone, una massa la cui opinione conta pesantemente nella vita pubblica. Ecco il perché del blocco, della censura. La satira è libera ma non può essere imposta: è offensiva, e il ragionamento fila, considerando che in certi mezzi di comunicazione chi riceve il messaggio è molto più vulnerabile e inconsapevole che in altri media (come la carta stampata e internet). Quello che ora vorremmo denunciare quindi non è il regime, la carenza di democrazia, ma l'ipocrisia che sta dietro a gesti che finiscono per nuocere soltanto a comici e artisti che lavorano. Non esiste il reato di vilipendio al Pontefice, fu Craxi a cancellarlo. Inoltre è stato abolito anche l'articolo riguardo l'offesa di un capo di stato straniero. L'accusa voleva probabilmente sollevare sdegno e i soliti dibattiti scontati e scoraggiare nuovi interventi non graditi. Fermare un certo tipo di satira. Se ci sono riusciti o meno solo il tempo ce lo potrà dire. Per ora, facciamoci una bella risata.
Antonino Valvo
I fanatici del web e dei cortometraggi forse già conosceranno la Blue Tongue Films, ma per chi non lo sapesse bisogna dire che è un'affermata casa di produzione cinematografica australiana specializzata in cortometraggi che hanno girato nei festival di tutto il mondo. La particolarità di questa casa consiste nel fatto che alla distribuzione canonica dei suoi prodotti preferisce la pubblicazione on-line su bluetonguefilms.com, un sito semplice che punta tutto sull'"archivio" di cortometraggi di assoluto valore. Di particolare qualità artistica, tecnica e narrativa sono Spider e Lucky, entrambi scritti e diretti da Nash Edgerton, già famoso come stuntman in film quali Star Wars e Matrix.
Spider concentra in 9 minuti la riappacificazione di una coppia durante un viaggio in auto e uno scherzo che lui fa a lei. Il film si apre con la citazione di una mamma che dice "It's all fun and games until someone loses an eye" e mostra gli effetti di uno scherzo con sbalorditivi effetti visivi non mascherati da un facile montaggio che permette l'uso di tecniche banali. Edgerton non stacca mai quando ci si aspetta che debba farlo, al punto che si arriva a chiedersi "ma come ha fatto?". Anche la messa in scena assolutamente realistica contribuisce a rendere il film più credibile e aumenta lo stupore che da visivo diventa una sorta di divertente reazione da "è orribile, ma insegna qualcosa". Guardare Spider è come leggere una breve storia d'immaginazione.Lucky, invece, è la storia di un uomo che cerca di uscire da una macchina lanciata a tutta velocità. C'è bisogno di sapere altro? No. I 3 minuti senza dialogo di Lucky ci ricordano con piacere quanto un film possa essere coinvolgente e si rimane sorpresi da quanto si possa fare con così poco in termini di set, durata e attori. L'ambientazione in una strada deserta e una luce naturale davvero ben utilizzata aggiungono un tocco realistico alla grande sorpresa che il finale riserva allo spettatore.Dopo aver visto Spider e Lucky può sembrare che Nash Edgerton abbia la mente un po' distorta, invece mostra una capacità straordinaria nell'inserire estreme situazioni da stuntman in contesti realistici. Un accoppiamento forte, che non stride ma colpisce, e che rivela tutta la forza del cinema.
Michele Comba
Civico Archivio Fotografico
Archivio Bertarelli
È’ più difficile fare del cinema a Milano?
Secondo me è difficile fare cinema, Milano, Torino, Pavia o Bologna. Anche a Roma è difficile. Basta vedere che alla sezione esordi del Festival di Venezia quest'anno non c'era neanche un italiano. Questo è un paese che non investe: i milioni preferisce spenderli per una Festa del Cinema, piuttosto che promuovere i nuovi talenti e consolidare quelli che ci sono. Se non vengono affrontati questi problemi fare del cinema, già difficile in partenza, diventa quasi impossibile. In ogni caso secondo me è più facile fare del cinema a Milano. Certo, bisogna chiedersi cosa è cinema. Fare fiction televisiva è più facile a Roma che in Lombardia: Milano è sempre stata cinema contro, di ricerca, cinema altro, di barricata. A Roma mettersi a fare un film con 50 mila euro è una cosa da pazzi, noi lo facciamo. Essendoci poi meno baroni e meno preconcetti, senza contare la scuola del cinema che sta dando molto a questa città, e soprattutto la voglia - cioè qui non si lavora alle poste, non è che alle cinque si saluta e si va a casa - credo che forse a Milano si faccia più cinema che da altre parti.
È solo una questione di soldi? O c'è anche una mancanza di idee?
Beh sicuramente in partenza è una questione di soldi, perché se ci sono nuovi talenti senza i soldi non lo sapremo mai. Le idee d'altronde è molto raro che ci siano. Il problema è a monte, perché le nuove generazioni vengono cresciute in modo passivo, le si istruisce a rispondere a comando. L'unica soluzione è rifondare il sistema educativo, e far sì che le persone non vengano ammaestrate, ma trattate come esseri pensanti.
Quali sono i problemi che si incontrano quando si ha una buona idea?
Quando si ha una buona idea non si incontrano problemi. Io ho sempre visto che quando c'è una storia valida, prima o dopo si riesce a metterla in atto. Il consiglio è di lavorare moltissimo sulla sceneggiatura, senza la quale non si può avere il film, né tanto meno gli appoggi per farla. Quello che dico sempre ai miei allievi è, va bene lavoriamo gratis, ma leggiamo la sceneggiatura perché se è una boiata abbiamo di meglio da fare. Detto così sembra che per fare un film basti averne la voglia.Il problema non è tanto fare i film, ma distribuirli. Tu puoi avere anche il film dell'anno ma se non incontri una distribuzione, perché sei lontano da Roma, non per chilometri ma per relazioni, il tuo lavoro non lo vedrà nessuno. E non è un problema milanese ma italiano.Quindi la crisi del nostro cinema è dovuta a una carenza distributiva, non è colpa dei produttori. In Italia mancano produttori degni di questo nome: il produttore è un imprenditore che decide di lavorare e investire nel cinema e per farlo deve riconoscere il talento e i meccanismi per farlo emergere. Oggi in Italia ci sono solo produttori esecutivi: persone spesso poco competenti che comunque non mettono in gioco capitali propri.
Entrando un momento nella disputa condominiale fra Venezia e Roma, noi crediamo che Venezia abbia un'autorità che non vada toccata, lei cosa ne pensa?
D'accordissimo. Non capisco perché in tutto il mondo le istituzioni vengano conservate e aiutate, e noi che abbiamo uno straccio di festival che conta qualcosa andiamo a picconare anche questo. Riduciamo sempre tutto a qualcosa di locale, ed è per questo che nascono queste inutili rivalità. Semmai il festival di Venezia va rimpolpato costruendo nuove sale, mettendo a disposizione degli alberghi che non costino 400 euro e che non facciano schifo. E poi mica siamo l'America, quanti festival dobbiamo avere?
Lei insegna da più di dieci anni alla Civica Scuola di Cinema e Nuovi Media di Milano, qual è il ruolo della scuola nella nostra città?
Ha seminato tante di persone in grado di fare questo lavoro e alle quali è possibile attingere per i propri progetti. I miei alunni al primo anno già cominciano a lavorare ai loro lavori, o vanno a fare da assistenti a coloro che si sono diplomati da qualche anno. Esiste un tessuto professionale a cui fare riferimento. È un'istituzione che sta crescendo come presenza effettiva sul territorio.
Milano è una città cinematografica?
Assolutamente sì e il mio film ne è la testimonianza. In Come l'Ombra Milano si vede tantissimo perché sono milanese e mi interessa parlare della città. Il mio film non potrebbe essere ambientato che qui. O almeno in termini locali. Certo potrebbe essere una città del Nord America, del nord della Francia, della Germania. In questo momento stiamo lavorando per farlo uscire in sala.
Domanda di rito: quali sonoi film che hanno influenzato il suo lavoro? Secondo lei cosa è cinema? Quando siamo di fronte al cinematografico?
Tutto è cinematografico perché tutto può raccontare una storia, un punto di vista, una posizione politica e civile. Se invece ci chiediamo cosa è il cinema, come diceva Bazin, io credo esistano due cose distinte: l'intrattenimento e il cinema. Il cinema emana esprime un punto di vista con l'occhio, che è un punto di vista della mente, che è un punto di vista etico sulla vita.
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