Tutta la vita davanti

Reality show


Una speranza? Un augurio? Una promessa? Quante accezioni si possono racchiudere in 4 semplici parole? E come cambia il loro significato per chi le pronuncia e per chi le ascolta. Per Marta, brillante 24enne neolaureata cum laude, sono cariche di aspettative perchè conclusa l'università vede finalmente a portata di mano la possibilità di realizzare il futuro a lungo sognato. Ha fiducia nel prossimo, nella società, nella meritocrazia. Come tanti giovani, ragazzi entusiasti con la testa piena di progetti e il portafoglio vuoto, si appresta a prender parte al gran ballo della vita, cerca il suo posto ma è 'fuori tempo', non trova il ritmo perchè ha le sue certezze, i suoi valori e non vuole scendere a compromessi. Dopo aver investito tempo, denaro ed energie scopre però che la società moderna nel suo corpo di ballo vuole solo i 'vincenti' o meglio quelli che reputa tali. Imparare i passi giusti significa pensare a solo a sé stessi, sgomitare, non avere scrupoli. Non c'è spazio per gli idealisti, gli ingenui, i curiosi, l'ansia per il futuro è troppa: i giovani sono solo una risorsa come tante altre e come tale vanno sfruttati. Le relazioni interpersonali, il lavoro, tutto quanto la circonda non è altro che un grande reality in cui vige una sola regola: mors tua, vita mea. Prova a continuare a ballare secondo il suo ritmo, si illude di poter restare quella che è pur inserendosi nella coereografia generale. Perdersi nelle quotidiane complicazioni che questa navigazione in mare aperto impone è però facile e il rischio di cedere a stanchezza, rabbia e delusione e lasciarsi fagocitare uniformandosi è sempre dietro l'angolo. Marta se ne accorge in tempo, cade e si rialza. Ha scoperto il tranello di un mondo che vive di apparenze e che emargina ed elimina sia chi ne risulta vittima per troppo fragilità (Lucio2, Giulia, Sonia) sia chi rifiuta volutamente questa logica. Ed ecco che quelle 4 semplici parole cominciano ad avere il sapore amaro di una condanna. Dopo aver cercato-aspettato invano l'uomo che spezzando le catene liberi tutti svelando come la realtà possa essere ben diversa dalle ombre che proietta sul muro della caverna decide di provarci lei stessa. Si affida alla musica fiduciosa che seguendola prima o poi troverà il ritmo giusto.

L'Italia (il mondo?) è malata e forse non guarirà ma la piccola Lara, prima salvata a cui viene mostrato il sole, è lì a testimoniare che si può ancora trovare un antidoto. Bugsy Berkeley ci ha insegnato che una coerografia ben riuscita è spettacolare, è un'opera unica dotata di una carica emotiva che lascia a bocca aperta. I singoli momenti di cui è composta, pur mantenendo la loro specificità, si fondono in un tutt'uno di armonica perfezione. Con i suoi 'film nei film' ci ha però anche mostrato quante prove siano necessarie affinchè questo si realizzi e quante volte si fallisce prima di portarla a compimento.Virzì, moderno verista cantore degli ultimi e dei loro sogni/bisogni, ci regala un'analisi autentica ed umana dell'amara situazione dell'Italia di oggi e, senza mai cadere in uno scontato pietismo, ci ricorda che per 'andare a tempo' servono tenacia e coraggio. Bisogna continuare a tentare, mirare ai propri obiettivi, restare ancorati a ciò a cui si crede e sperare. Se cambiare il mondo è impossibile l'importante è che non sia lui a cambiare noi. Gli errori, i fallimenti fanno parte del gioco perché dopotutto c'è "tutta la vita davanti". 4 semplici parole che non possono, non devono, suonare come una minaccia.


Claudia De Falco

Processo alla satira

Il caso Guzzanti e gli attacchi al potere



Lo scorso 8 luglio a Piazza Navona a Roma, è stata indetta una manifestazione contro le cosiddette leggi canaglia del governo Berlusconi IV, che riguardano la libertà di informazione, di indagine giudiziaria e le norme riguardo la schedatura di cittadini extracomunitari romeni. Dal palco, su cui si sono succeduti decine di interventi, Sabina Guzzanti ha denunciato alcuni fatti riguardanti l'ingerenza della Chiesa nella vita politica, la crescente tendenza alla legittimazione di fenomeni di matrice razzista e infine la scelta di affidare il Ministero delle Pari Opportunità a Mara Carfagna, coinvolta, secondo un diffuso giornale argentino, in uno scandalo a sfondo sessuale insieme al Premier Silvio Berlusconi. Tanti interventi, tanti attacchi al sistema vigente in Italia, ma a far scalpore sono state le parole della Guzzanti e quelle di Beppe Grillo che invece prendevano di mira l'atteggiamento tenuto dal Presidente della Repubblica Napolitano nei confronti di quelle leggi contro cui era la manifestazione.





La libertà di parola e di pensiero sono alla base della struttura democratica, e i due comici ne hanno fatto uso come era giusto che fosse, consapevoli delle reazioni che avrebbero suscitato sia nel pubblico lì riunito, sia nell'opinione pubblica. Il punto è che qui non stiamo parlando di informazione o libertà, stiamo parlando di satira. E la satira è tutta un'altra storia. Aldilà della sua storia e del significato, la Corte di Cassazione ha dato questa definizione di satira: " [la satira] È quella manifestazione di pensiero talora di altissimo livello che nei tempi si è addossata il compito di castigare ridendo mores, ovvero di indicare alla pubblica opinione aspetti criticabili o esecrabili di persone, al fine di ottenere, mediante il riso suscitato, un esito finale di carattere etico, correttivo cioè verso il bene. " La satira è di natura contro il potere, ma non per questo il potere non se ne può servire: "Ritengo che la satira sia uno strumento utile nel dibattito politico […] il mio capo ufficio stampa ha avuto la disposizione di pormi in evidenza tutte le mattine gli attacchi alla mia persona. In questo modo posso correggere i miei eventuali errori. A mio avviso, alla satira non dovrebbero essere posti limiti, se non quelli suggeriti dal buon gusto". A parlare era il Presidente della Repubblica Sandro Pertini. Ma ancora: "La satira è stata sempre utile a un corretto sviluppo della politica, anche su un piano di radicazione culturale degli atteggiamenti critici […] i limiti devono essere lasciati al costume. Non credo compatibili con la libertà democratica limiti politici di qualsiasi natura." Parola del senatore Giulio Andreotti.

Ma se la satira non è politica, perché si è tentato di procedere giuridicamente contro Beppe Grillo e Sabina Guzzanti per le affermazioni di piazza Navona? Offesa al presidente della repubblica e a capo di stato straniero da uno a cinque anni di carcere, è stato detto. Gli interventi dei due comici erano opinabili ma i fatti su cui si basavano incontestabili. Quindi è il linguaggio che porta all'offesa. Ma la satira per sua stessa natura usa un linguaggio diretto, cattivo e, sì, anche volgare. Quello cercato di aprire è stato un processo alla satira come fenomeno di costume. Un discorso di esecrabile censura? La questione non è così semplice. Nei casi citati e in altri eclatanti (chiusura del programma di Luttazzi e della stessa Guzzanti) il problema è sempre stato la possibilità di poter comunicare a un gran numero di persone, una massa la cui opinione conta pesantemente nella vita pubblica. Ecco il perché del blocco, della censura. La satira è libera ma non può essere imposta: è offensiva, e il ragionamento fila, considerando che in certi mezzi di comunicazione chi riceve il messaggio è molto più vulnerabile e inconsapevole che in altri media (come la carta stampata e internet). Quello che ora vorremmo denunciare quindi non è il regime, la carenza di democrazia, ma l'ipocrisia che sta dietro a gesti che finiscono per nuocere soltanto a comici e artisti che lavorano. Non esiste il reato di vilipendio al Pontefice, fu Craxi a cancellarlo. Inoltre è stato abolito anche l'articolo riguardo l'offesa di un capo di stato straniero. L'accusa voleva probabilmente sollevare sdegno e i soliti dibattiti scontati e scoraggiare nuovi interventi non graditi. Fermare un certo tipo di satira. Se ci sono riusciti o meno solo il tempo ce lo potrà dire. Per ora, facciamoci una bella risata.


Antonino Valvo

Orchestra di via Padova

Ovvero l'integrazione ai tempi del decreto sicurezza


Se volessimo parafrasare uno dei titoli più parafrasabili di sempre, "L'amore ai tempi del colera" di Garcia Marquez, parleremmo de "L'integrazione ai tempi del Decreto Sicurezza". Via Padova e dintorni da questo punto di vista rappresentano uno degli snodi più delicati di Milano, e probabilmente del Paese intero. Interviene allora la musica: non procede per DDL, e fornisce implicitamente risposte forse un poco ingenue, ma di quella dose di buona ingenuità di cui si sente un disperato bisogno ai tempi, stavolta, delle impronte rilevate ai bambini in quanto Rom, e del reato di immigrazione clandestina.



In via Padova dall'ottobre del 2006 vive e suona un'Orchestra, secondo un modello fortunato e collaudato - lo stesso modello che anima la più famosa Orchestra di Piazza Vittorio a Roma ed altre sorelle minori a Genova in piazza Caricamento e a Torino in Porta Palazzo: si forma un complesso musical-territoriale, con musicisti di nazionalità diversa che vivono nella medesima zona, per lo più rinomata per la convivenza irrisolta delle diversità, e si portano i risultati del connubio tra la gente. Si mostra la faccia buona delle zone cattive, fingendo si scordare quanto la lotta sia impari contro chi propugna solo la faccia cattiva, senza però prendersi la briga di indicare prospettive e vie di uscita.L'Orchestra di Via Padova, appunto: 15 elementi e 9 nazionalità apparentemente stridenti - in ordine sparso Estonia, Perù, Cile, Burkina Faso, Marocco, Serbia, Cuba e Italia. Dicono di loro stessi: "Ognuno di noi ha portato con sé un po' della propria tradizione musicale. Ed ognuno si è poi prestato alla sperimentazione e al confronto, realizzando un mélange sonoro inedito e travolgente". Dopo diversi mesi di notorietà basata sul passaparola e la bontà della formula, finalmente il 23 maggio è uscito "Tunjà", il primo disco dell'Orchestra che, sia detto senza voler offendere nessuno, non è proprio la solita banda da Festa dell'Unità. Chi volesse avere un assaggio può visitare il myspace all'indirizzo www.myspace.com/orchestradiviapadova, oppure andare direttamente a trovare l'Orchesta durante il tour, quando attraverserà la penisola per animare piazze e manifestazioni: il momento è particolarmente propizio, perché sembra proprio che il gruppo sia giunto allo stadio, per tutti dorato, del "quasi-famosi" che permette un prezioso contatto diretto a prezzi modici o nulli.Infine potrebbe essere l'occasione - perché no - di scegliere una giornata non piovosa per visitare via Padova e dintorni di persona, magari con macchinetta digitale e discrezione, e battezzare la zona in autonomia: dolce o famigerata, o più probabilmente tutt'e due.




Giacomo Giudici

I corti di Nash Edgerton

Piccolo manuale dell'immaginazione


I fanatici del web e dei cortometraggi forse già conosceranno la Blue Tongue Films, ma per chi non lo sapesse bisogna dire che è un'affermata casa di produzione cinematografica australiana specializzata in cortometraggi che hanno girato nei festival di tutto il mondo. La particolarità di questa casa consiste nel fatto che alla distribuzione canonica dei suoi prodotti preferisce la pubblicazione on-line su bluetonguefilms.com, un sito semplice che punta tutto sull'"archivio" di cortometraggi di assoluto valore. Di particolare qualità artistica, tecnica e narrativa sono Spider e Lucky, entrambi scritti e diretti da Nash Edgerton, già famoso come stuntman in film quali Star Wars e Matrix.

Spider concentra in 9 minuti la riappacificazione di una coppia durante un viaggio in auto e uno scherzo che lui fa a lei. Il film si apre con la citazione di una mamma che dice "It's all fun and games until someone loses an eye" e mostra gli effetti di uno scherzo con sbalorditivi effetti visivi non mascherati da un facile montaggio che permette l'uso di tecniche banali. Edgerton non stacca mai quando ci si aspetta che debba farlo, al punto che si arriva a chiedersi "ma come ha fatto?". Anche la messa in scena assolutamente realistica contribuisce a rendere il film più credibile e aumenta lo stupore che da visivo diventa una sorta di divertente reazione da "è orribile, ma insegna qualcosa". Guardare Spider è come leggere una breve storia d'immaginazione.Lucky, invece, è la storia di un uomo che cerca di uscire da una macchina lanciata a tutta velocità. C'è bisogno di sapere altro? No. I 3 minuti senza dialogo di Lucky ci ricordano con piacere quanto un film possa essere coinvolgente e si rimane sorpresi da quanto si possa fare con così poco in termini di set, durata e attori. L'ambientazione in una strada deserta e una luce naturale davvero ben utilizzata aggiungono un tocco realistico alla grande sorpresa che il finale riserva allo spettatore.Dopo aver visto Spider e Lucky può sembrare che Nash Edgerton abbia la mente un po' distorta, invece mostra una capacità straordinaria nell'inserire estreme situazioni da stuntman in contesti realistici. Un accoppiamento forte, che non stride ma colpisce, e che rivela tutta la forza del cinema.



Michele Comba


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Alla scoperta della Civica Raccolta delle Stampe Bertarelli e del Civico Archivio Fotografico

Munitevi solo di curiosità




Uno degli adagi ricorrenti del milanese ottimista (purosangue o di adozione) recita più o meno così: "non è vero che Milano non propone cultura, non è vero che Milano è solo la città dei danée. Milano ha del buono, ma lo nasconde". Da queste classiche sentenze, l'altrettanto classico corollario: che uno dei motivi di fascino di Milano sia proprio il fatto che la città non si getta addosso al primo venuto, e nemmeno a chi ci abita da sempre, ma va scoperta in proprio. Tutto questo probabilmente è banale, ma anche vero. E un modo per verificarlo è visitare due archivi milanesi, posti nello stesso luogo fisico - si trovano al Castello Sforzesco - ma molto diversi tra loro: la Civica Raccolta delle Stampe Bertarelli e il Civico Archivio Fotografico di Milano.Importanti le analogie: si tratta di due istituzioni che a buon diritto possono essere definite storiche - l'archivio Bertarelli nasce nel 1925, l'archivio fotografico nel 1933 - e imponenti, considerando che conservano rispettivamente un milione di stampe e seicentomila fotografie. Inoltre, e vale la pena sottolinearlo, si tratta di luoghi pubblici, aperti a chiunque voglia impegnarsi in una ricerca, animato anche solamente da semplice curiosità. La burocrazia è ridotta al minimo, è sufficiente prendere un appuntamento per contare sull'aiuto del personale e ottenere il materiale desiderato.Quale materiale? Ecco le differenze. Per parlare della Raccolta delle Stampe, eccezionale istituto, non si può partire da una storia altrettanto eccezionale: quella di Achille Bertarelli (1863-1938), filantropo milanese, eccentrico appassionato di iconografia e grafica popolare che, preferendo delle stampe il soggetto rispetto al "mero" lato artistico, ne raccolse in vita quasi trecentomila, che donò al Comune prima della sua morte, formando così il nucleo originale della raccolta e regalando al pubblico la straordinaria testimonianza di un'epoca. E non solo, perché la caratteristica principale dell'archivio Bertarelli è sicuramente la varietà: dire che si trova tutto, qui, non è un'esagerazione - dalle xilografie quattrocentesche ai manifesti pubblicitari di primo novecento, carte geografiche e vedute provenienti da tutta Italia e dall'Europa, soldatini, grafiche popolari sacre e profane, biglietti da visita e d'auguri di ogni epoca. Il visitatore che consulta il catalogo rimane affascinato dalle possibilità che offre la raccolta, amplissima nello spazio e nel tempo, e il rischio è soprattutto quello di perdersi nell'abbondanza. Il risultato è un archivio sui generis, probabilmente unico in Italia.In confronto all'esplosività archivistica del Bertarelli, il Civico Archivio Fotografico sembra impallidire, ma è decisamente solo un'impressione. E' vero che il patrimonio è più ristretto - 600.000 documenti (negativi e positivi, dagherrotipi, carte salate e così via) che coprono un arco di tempo che va dal 1840 ai giorni nostri - ma è anche vero che qualsiasi documento risulta estremamente pregnante. Il grosso delle testimonianze, infatti, riguarda Milano fino al secondo conflitto mondiale compreso: questo fa dell'archivio, prima di tutto, un fondo straordinario di memoria storica. Ed infatti, oltre che dagli specialisti, è visitato da milanesi semplici che vogliono soddisfare visivamente qualche domanda, qualche curiosità, sulla propria città per come è stata prima che gli interventi di epoca fascista (come la copertura dei Navigli), i bombardamenti e l'urbanizzazione ne cambiassero per sempre il volto. Anche in questo caso, una semplice occhiata agli estremi dei cataloghi fa capire immediatamente il valore del patrimonio, per varietà e qualità. Oltre alla larghissima sezione su Milano, ci sono poi interessanti incursioni fuori d'Italia, in Europa ed oltre: ad esempio, fotografie ottocentesche di Groenlandia e Giappone - come scoperchiare altri mondi.



Civico Archivio Fotografico

Archivio Bertarelli


Giacomo Giudici

ONLINE IL NUOVO NUMERO DI IMMINENTE


In occasione della festa dell'Università Statale di Milano, imminente rinnova grafica e contenuti in questo primo numero dopo l'estate.

Cliccate qui per scaricare il nuovo numero di imminente in formato pdf!

Per poter ritirare in anteprima il nuovo numero l'appuntamento è per domani nel colplesso didattico di via Celoria in Città Studi a Milano.

Dolcina e Dolcissima - teatro agricolo

Un'altra storia di resistenza



È necessario avere una buona dose di coraggio, e forse incoscienza – come fa notare Giovanni Balzaretti, introducendo lo spettacolo alle poche decine di spettatori del Cicco Simonetta –, per rendersi disponibili a fare teatro nei luoghi che deputati al teatro non sono. Quello della Compagnia Teatro Agricolo è un viscerale amore per ogni forma di teatro, anche la più minuta, minuta come il popolo a cui predicano gli eretici Frà Dolcino da Novara e Margherita da Trento, protagonisti di “Dolcino e Dolcissima”. Lo spettacolo, basato sulla storia vera di uno dei più interessanti movimenti ereticali cristologici medievali, ha debuttato nel maggio del 2007 e ricevuto il Patrocinio del Centro Studi Dolciniani Italiano.
Il coraggio del rivoluzionario messaggio di Frà Dolcino e Margherita – una novella di uguaglianza fra uomo e donna, del diritto di ogni contadino di pregare a modo suo, col suo linguaggio, di una croce di legno e fango – si coniuga con quell’incoscienza di chi vuole credere che una società, anche la più disgraziata, possa essere cambiata.
Il linguaggio scenico di questo teatro agricolo gioca tutto sul peso delle parole, di semplici gesti, dell’intensità degli sguardi, facendo virtù delle necessità. Se i mezzi sono ridotti al minimo – una scena spoglia, due scranni-tronchi d’albero che si improvvisano sgabelli e pulpiti, dei semplici costumi da frate – è anche perché non si potrebbe immaginare diversamente uno spettacolo che prende le mosse dalla vicenda di Francesco d’Assisi e Gherardino Segalello, per occuparsi del movimento dolciniano, diffusosi a cavallo del XIV secolo.
Isabella Macchi e Giovanni Balzaretti alternano così parti narrate, con dovizia di dettagli, a recitati in dialetto valsesiano; e se il narrato risulta un poco didascalico, al contrario, quando i due attori indossano i panni dei protagonisti della vicenda dimostrano una notevole padronanza della lingua e delle tecniche teatrali dell’epoca, combinata ad una capacità interpretativa di forte carica suggestiva.
Siamo dinanzi a quel teatro che, in un certo qual modo, si preoccupa di restituire dignità al Medioevo – e nello specifico ai popolani medievali –, periodo storico che Teatro non aveva, secondo un lavoro di ricerca e messinscena non dissimile dal “Mistero Buffo” di Fo e Rame. E non è un caso che la celebre “giullarata” di Bonifacio XIII parlasse proprio di Dolcino.
Seguendo il percorso inverso rispetto alla scelta narrativa di “Dolcino e Dolcissima”, cogliamo ora le ragioni storiche per le quali l’azione di questa coppia di eretici fu così importante e rivoluzionaria. I mezzi di propaganda della Chiesa di allora erano immensi, basta pensare agli squadroni di “predicatori apocalittici” che, a ridosso dell’anno Mille, avevano convinto tutta Europa dell’imminente fine del mondo, in quello che è considerabile a tutti gli effetti un atto terroristico. Al confronto con questa potenza mediatica della Chiesa, il lento e costante operare di Dolcino e Margherita – forti dell’insegnamento del giubilate francescano – costituiva una controtendenza che sapeva modificare le coscienze dal profondo dell’animo.
Il Vescovo di Vercelli reagì come ci si poteva aspettare da un alto prelato della Chiesa di allora: dapprima scomunicando l’intera comunità comunarda, e proto-socialista, della Valsesia, e in secondo luogo, con l’obiettivo di eliminare fisicamente tutti i dolciniani, assoldando balestrieri mercenari cui era concesso il consueto diritto di saccheggio e stupro.




Marco Turconi