Processo alla satira

Il caso Guzzanti e gli attacchi al potere



Lo scorso 8 luglio a Piazza Navona a Roma, è stata indetta una manifestazione contro le cosiddette leggi canaglia del governo Berlusconi IV, che riguardano la libertà di informazione, di indagine giudiziaria e le norme riguardo la schedatura di cittadini extracomunitari romeni. Dal palco, su cui si sono succeduti decine di interventi, Sabina Guzzanti ha denunciato alcuni fatti riguardanti l'ingerenza della Chiesa nella vita politica, la crescente tendenza alla legittimazione di fenomeni di matrice razzista e infine la scelta di affidare il Ministero delle Pari Opportunità a Mara Carfagna, coinvolta, secondo un diffuso giornale argentino, in uno scandalo a sfondo sessuale insieme al Premier Silvio Berlusconi. Tanti interventi, tanti attacchi al sistema vigente in Italia, ma a far scalpore sono state le parole della Guzzanti e quelle di Beppe Grillo che invece prendevano di mira l'atteggiamento tenuto dal Presidente della Repubblica Napolitano nei confronti di quelle leggi contro cui era la manifestazione.





La libertà di parola e di pensiero sono alla base della struttura democratica, e i due comici ne hanno fatto uso come era giusto che fosse, consapevoli delle reazioni che avrebbero suscitato sia nel pubblico lì riunito, sia nell'opinione pubblica. Il punto è che qui non stiamo parlando di informazione o libertà, stiamo parlando di satira. E la satira è tutta un'altra storia. Aldilà della sua storia e del significato, la Corte di Cassazione ha dato questa definizione di satira: " [la satira] È quella manifestazione di pensiero talora di altissimo livello che nei tempi si è addossata il compito di castigare ridendo mores, ovvero di indicare alla pubblica opinione aspetti criticabili o esecrabili di persone, al fine di ottenere, mediante il riso suscitato, un esito finale di carattere etico, correttivo cioè verso il bene. " La satira è di natura contro il potere, ma non per questo il potere non se ne può servire: "Ritengo che la satira sia uno strumento utile nel dibattito politico […] il mio capo ufficio stampa ha avuto la disposizione di pormi in evidenza tutte le mattine gli attacchi alla mia persona. In questo modo posso correggere i miei eventuali errori. A mio avviso, alla satira non dovrebbero essere posti limiti, se non quelli suggeriti dal buon gusto". A parlare era il Presidente della Repubblica Sandro Pertini. Ma ancora: "La satira è stata sempre utile a un corretto sviluppo della politica, anche su un piano di radicazione culturale degli atteggiamenti critici […] i limiti devono essere lasciati al costume. Non credo compatibili con la libertà democratica limiti politici di qualsiasi natura." Parola del senatore Giulio Andreotti.

Ma se la satira non è politica, perché si è tentato di procedere giuridicamente contro Beppe Grillo e Sabina Guzzanti per le affermazioni di piazza Navona? Offesa al presidente della repubblica e a capo di stato straniero da uno a cinque anni di carcere, è stato detto. Gli interventi dei due comici erano opinabili ma i fatti su cui si basavano incontestabili. Quindi è il linguaggio che porta all'offesa. Ma la satira per sua stessa natura usa un linguaggio diretto, cattivo e, sì, anche volgare. Quello cercato di aprire è stato un processo alla satira come fenomeno di costume. Un discorso di esecrabile censura? La questione non è così semplice. Nei casi citati e in altri eclatanti (chiusura del programma di Luttazzi e della stessa Guzzanti) il problema è sempre stato la possibilità di poter comunicare a un gran numero di persone, una massa la cui opinione conta pesantemente nella vita pubblica. Ecco il perché del blocco, della censura. La satira è libera ma non può essere imposta: è offensiva, e il ragionamento fila, considerando che in certi mezzi di comunicazione chi riceve il messaggio è molto più vulnerabile e inconsapevole che in altri media (come la carta stampata e internet). Quello che ora vorremmo denunciare quindi non è il regime, la carenza di democrazia, ma l'ipocrisia che sta dietro a gesti che finiscono per nuocere soltanto a comici e artisti che lavorano. Non esiste il reato di vilipendio al Pontefice, fu Craxi a cancellarlo. Inoltre è stato abolito anche l'articolo riguardo l'offesa di un capo di stato straniero. L'accusa voleva probabilmente sollevare sdegno e i soliti dibattiti scontati e scoraggiare nuovi interventi non graditi. Fermare un certo tipo di satira. Se ci sono riusciti o meno solo il tempo ce lo potrà dire. Per ora, facciamoci una bella risata.


Antonino Valvo

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