La città di Dio - Paulo Lins


1968, Brasile:dopo un’alluvione disastrosa si gettano le fondamenta per costruire Città di Dio, un nuovo quartiere alla periferia di Rio de Janeiro e teatro delle deliranti vicende narrate da Paulo Lins.
In un’atmosfera caotica e assolata 3 generazioni di banditi si susseguono fra le strade fangose di Città di Dio, dove la polvere della favela impasta sogni, sangue e ambizioni. Il romanzo è diviso in tre atti, ma sebbene ognuno di essi sia dedicato a un singolo bandito, in ogni pagina veniamo quasi assordati dalla potenza di una voce, che, uscendo dal coro dei disperati di Città di Dio, inchioda la nostra attenzione su personaggi secondari, ma utilissimi per farci cogliere la dimensione poliedrica di questa realtà. Anche il piano del reale e del soprannaturale si compenetrano a vicenda, e uno non esclude mai l’altro, come insegnano i culti religiosi afro-brasiliani. Grazie a vividissime pennellate di pura violenza, emergono personaggi dolorosamente umani pur nella loro insensata brutalità: attraverso un linguaggio fin troppo esplicito veniamo trascinati in un’escalation di morte che sfocerà in una vera e propria guerra, che, come tutte le guerre, non lascerà né vinti né vincitori, ma solo superstiti. Abilissimo il regista Ferdinando Meirelles, che, riprendendo la vicenda in un film alla Tarantino, la rende più unitaria attraverso le parole del narratore Busca-pè (ragazzino cresciuto nella favela) senza farle perdere niente del ritmo incalzante che contraddistingue il romanzo.


Paola Gallo

Missing - Scomparso 1982

Stati Uniti d’America: democrazia o menzogna?


dall'imminente del gennaio 2006

Vi sembra possibile che gli Stati Uniti, da sempre considerati il paese dei diritti dell'uomo e della libertà, possano sacrificare questi puri e giusti ideali per degli interessi di tipo economico?! Loro, che anche in tempi moderni, così difficili e controversi, si professano sempre e comunque salvatori della democrazia e dei cittadini? Insinuare una cosa del genere potrebbe sembrare un' accusa falsa e ingiustificata. Missing-Scomparso: anche il protagonista, Ed Horman (interpretato ad arte da Jack Lemmon) sembra dello stesso parere. Inizialmente. Uomo dai sani principi, con i piedi per terra: non dubiterebbe mai del suo paese, terra di opportunità nel quale lui stesso, con le proprie mani, ha potuto costruirsi una carriera. Fino al momento in cui non viene a sapere della scomparsa del suo unico figlio, Charlie (Jhon Shea) , che vive con la moglie in un Paese dell'America Latina. Siamo nel Cile sconvolto dal colpo di stato di Pinochet, dove la vita si è trasformata in un incubo angosciante: la normalità è venire perquisiti, picchiati e uccisi per strada, dall'esercito, senza la minima ragione. La normalità è scomparire da un giorno all'altro dalla faccia della terra, finendo come uno delle centinaia di corpi senza nome ammassati negli scantinati di uno stadio, come sembra sia capitato a, Charlie, cittadino americano. Catapultato in questa realtà capovolta, sconvolto
dalla perdita del figlio, Ed dovrà ricredersi su tutto: accompagnato da Beth, la dolce ma decisa (e meno ciecamente fiduciosa) moglie del figlio, inizierà un' angosciosa ricerca che lo porterà a capire come il mondo non è per forza come appare e che esistono altri modi di vivere e di vedere le cose che, sebbene diversi dal proprio, sono altrettanto dignitosi. Nonostante le promesse d'aiuto dell'Ambascita Americana, Ed si rende conto che il vero scopo di chi gli sta intorno va decisamente contro corrente rispetto al suo: la verità non deve venire a galla. Una verità che Charlie ha scoperto per caso e che vede il governo Americano come potente burattinaio dietro al colpo di stato. Che vede la CIA che appoggia l'assassinio di Allende, il candidato di Unidad Popular, che, dopo essere salito al potere nel 1970 tramite regolari elezioni, promuoveva una riforma agraria e la nazionalizzazione del settore minerario (iniziative entrambe in contrasto con gli interessi nordamericani). E che vede gli Stati Uniti come economicamente tutt'altro che dispiaciuti del governo militare e dittatoriale di Pinochet. Ed si troverà così non solo ad affrontare la disperazione per la morte di Charlie, ma anche la disillusione e l'amarezza per aver compreso quali sono i reali scopi dei suoi compatrioti "garanti dell'ordine pubblico" negli altri paesi. E l'impotenza: come sempre accade in questi casi, nonostante le denunce di Ed, nessuno verrà condannato. Il governo insabbierà il tutto. Anche la salma di Charlie tornerà in patria solo molti mesi dopo il ritrovamento del corpo, rendendo così inutile un'eventuale autopsia. Di storie "realmente accadute" come questa che ci presenta il regista Costa Gravas ce ne sono moltissime nel subcontinente americano (e non solo): nel 1964, in Brasile, gli Usa appoggiano la "rivoluzione militare" mettendo al potere il feroce dittatore Castello Branco. Nel 1903, in Colombia, gli Stati Uniti danno il loro aiuto militare a Panamà per ottenere l'indipendenza dalla nazione, in modo da averne il controllo dell'istmo. Nel 1898 Cuba ottiene l'indipendenza grazie all'appoggio Usa, diventandone poi però protettorato militare. Nel corso del 900, intervengono pesantemente nella politica dell'isola, sia politicamente sia economicamente. Nel 1961 viene proclamata (dopo una lunga guerriglia) la repubblica socialista: gli Usa, oltre all'embargo, rompono le relazioni diplomatiche. E nel 1954, in Guatemala, sono sempre i democratici Stati Uniti (che possedendo nel paese tutte le industrie più importanti, dalle ferrovie alla famosa United Fruit Company) destituiscono il presidente Arbenz. Eletto regolarmente, aveva avviato una riforma agraria che ridistribuiva la terra fra gli indios espropriati dalle multinazionali: tramite l'intervento nordamericano viene destituito e sale al potere un dittatore: Castello Armas. E la lista potrebbe continuare. Sono tante le storie come questa e tanti i modi di raccontarle. Garvas ha scelto come punto di vista quello americano, e questa è una scelta importante: forse quello che vuole suggerirci è che tutti noi che viviamo nella parte "fortunata" del mondo siamo un po' come Ed: ciechi e per lo più disinteressati. Se solo potessimo vivere esperienze simili a queste, apriremmo i nostri occhi, giudicheremmo le cose più lucidamente. Ma ci deve essere un altro modo per uscire da questa sorta di letargo mentale, al quale ci siamo autocondannati. Dobbiamo aprire gli occhi, sperando di poter fare qualcosa di più oltre al constatare di essere arrivati troppo tardi.


Paola Gallo

Il Cinema Ariosto

Ovvero come sopravvivere all’era dei multiplex



dall'imminente del febbraio 2007


Se è vero che il tempo presente vede lo strapotere dei multiplex sulle piccole vecchie sale cinematografiche, che arrancano e si difendono come possono dal rischio della serrata definitiva, è anche vero che ci sono piccole realtà che lottano per creare nuove strade, nuovi percorsi, per garantirsi un futuro sicuro.
Fondato nel lontano 1948 il cinema Ariosto rappresenta oggi una delle sale storiche della Milano cinematografica. La famiglia Bruciamonti, di generazione in generazione, ha gestito questo cinema in zona Magenta, diventato col passare degli anni un punto di riferimento per il sofisticato quartiere.
Il prossimo anno si festeggeranno i sessant’anni d’attività ma il cinema Ariosto nel frattempo si è ammodernato e percorre nuove strade nel mondo della celluloide, su tutte le rassegne in lingua originale e lo spazio ai cortometraggi. Se la linea delle proiezioni in lingua originale è un grande punto di forza di questa piccola sala, tanto che, come sottolineano orgogliosamente Luca Banfi (direttore artistico) e Federico Bruciamonti (erede della gestione di famiglia), chi vuole vedere film francesi in lingua originale a Milano va all’Ariosto, il grande spazio riservato ai corti lo differenzia dalle altre monosala milanesi.


Il cortometraggio all’Ariosto è “Cinebox” e “A tutto corto”. Il Cinebox è un contenitore che precede il film programmato nello spettacolo serale. Ai soliti trailer e alla pubblicità nazionale viene fatto seguire un cortometraggio. E’ un esperimento innovativo che cerca di dare risalto a opere che difficilmente troverebbero spazio e visibilità. Un tentativo che, di proiezione in proiezione, cerca di affiancare corti accuratamente selezionati al lungometraggio in cartellone. Periodicamente i corti passati sugli schermi dell’Ariosto vengono accorpati in un’unica serata a tema chiamata appunto A tutto corto. L’ultima si è svolta lo scorso 14 dicembre e vedeva la proiezione di quattro cortometraggi, presentati in sala dai rispettivi registi. Il prossimo 22 febbraio si replica… Opportunità non indifferente per cinefili e aspiranti registi è la possibilità di inviare corti fatti in proprio direttamente all’Ariosto che, con CBL Movie Italia, cerca nuovi corti da proiettare.
Questo rimane tuttavia un momento difficile per i cinema cittadini, le piccole sale devono fare i conti con nuove realtà (i tanti multisala e il ricorso sempre più rapido all’home video) e sono tanti quelli che nella nostra Milano hanno chiuso e dovranno chiudere. Recentemente lo splendor in zona Piola-Lambrate ha cessato la propria attività, prima è stata la volta del Nuovo Arti da sempre punto di riferimento per i film dedicati ai più piccoli, mentre dall’anno scorso il Metropol in viale Piave, una delle sale più antiche della città, si è trasformato in sede per le sfilate di Dolce&Gabbana (un esempio questo colmo di significato). L’Ariosto propone la sua ricetta per resistere nel mercato del cinema globale: film di qualità (fa parte del network Europa Cinemas) e quel fedele pubblico di quartiere che nell’epoca moderna, specie nelle metropoli, sembrava diventato pura utopia. Paradossalmente è invece quella ricerca del tradizionale, dell’antico, di (concedetecelo) quel po’ di milanese che affascina, a portare nuovi spettatori nella piccola sala di via Ariosto, in controtendenza rispetto alle migrazioni verso i rifugi dei tanti multisala fuori porta.


Matteo Bursi


www.cinemaariosto.it

Evulozionismo vs Creazionismo

Scienza creazionista?


Partiamo da un semplice esempio. Prendete due provette. Riempitele con acqua e aggiungete nella prima un cucchiaio di soda, nella seconda uno di nitrato di potassio. Entrambi i composti si scioglieranno, ma la prima provetta si riscalderà, la seconda si raffredderà. La soda libera calore, il nitrato ne assorbe. Un banale esperimento da laboratorio. Un fatto, un sacro fatto, sul quale non si discute. L'evoluzione invece non è così. Essa è forse l'unico esperimento che l'uomo non potrà mai ripetere in laboratorio: un evento unico e irripetibile.La biologia però è anche una scienza storica (anche se spesso illuminati scienziati tendono a dimenticarselo): come scienza della vita per eccellenza, essa ci narra da sempre dei racconti. Racconti di vite che cambiano e non di leggi che valgono e varranno per sempre. L'evoluzione, pur non essendo empiricamente dimostrabile, è l'interpretazione che questa scienza ha dato per raccontarci la storia della vita sulla terra. Non fatto, ma interpretazione sulla quale, ovviamente, si può sempre discutere. Ed per questo che siamo qui. Non abbiamo la presunzione di proporre qualcosa di nuovo sull'argomento; piuttosto è importante ed attuale esprimere un punto di vista cercando di proporre spunti di riflessione e confronto.

Nelle sale statunitensi è da poco uscito un film: Expelled: No intelligence allowed di Nathan Frankowski, raccontato da Ben Stein un famoso scrittore e comico americano. La pellicola propone una tutt'altro che celata incapacità nell'accettare la teoria darwiniana, rivendicando il diritto ad insegnare nelle scuole la dottrina del creazionismo durante le ore di scienze. Oltre ad attaccare direttamente alcuni famosi biologi evoluzionisti Richard Dawkins e Daniel Dennett, Stein arriva a denunciare pubblicamente le idee di Darwin, definendole un "doloroso e orribile capitolo della storia delle ideologie" e affermando che essa avrebbe fornito il substrato ideologico ispiratore per lo sviluppo dei regimi totalitaristici quali il Nazismo e il Comunismo. Frankowki raccoglie una serie di testimonianze di insegnanti e scienziati, come Richard Sternberg e Caroline Crocker, che sarebbero stati licenziati per aver sostenuto la teoria del disegno intelligente, la teoria secondo cui un intelletto divine dirige l'evoluzione degli esseri viventi.In risposta potrebbe bastare citare alcuni fatti. Il 20 dicembre 2005 il giudice John E. Jones III, nominato dal presidente Bush, a seguito di un processo, emise una sentenza nella quale dichiarava l'incostituzionalità dell'insegnamento dell'intelligent design nell'ambito dei corsi di biologia. Inoltre nessuno è stato espulso dall'università a causa delle critiche all'evoluzionismo (come facilmente dimostra la permanenza di Michael Behe al dipartimento di biologia dell'università di Lehigh). Basta poi informarsi e leggere qualche scritto di Charles Darwin per accorgersi dell'evidente assurdità e incongruenza del parallelismo tra teoria dell'evoluzione e sviluppo delle idee razziste: come Maria Turchetto, alla quale esprimiamo tutto il nostro appoggio, ci ricorda sull’ Ateo , Darwin, il quale aveva orrore per la schiavitù, nell'"Origine dell'uomo" espresse pensieri sentitamente antirazzisti, promovendo quell'ideale di "simpatia universale" che dovrebbe essere esteso ad ogni civiltà e società umane.Ma limitarci a riportare dei semplici fatti ci porterebbe davvero ad una riflessione costruttiva? Cadremmo nello stesso errore dei teorici che si rifugiano all'interno delle fortezze inespugnabili costruite sulle fondamenta delle loro convinzioni dogmatiche ed inattaccabili. Ci sembra più opportuno porre l'accento sul significato che diamo alla parola "scienza". E' davvero ragionevole pensare che la teoria creazionistica possa essere insegnata nelle scuole come teoria scientifica alternativa all'evoluzionismo? Secondo noi no. Riportando l'abusata ma estremamente efficace citazione del genetista Theodosius Dobzhansky "in biologia nulla ha senso se non alla luce dell'evoluzione". Dal momento in cui la teoria darwiniana fu ideata, poi discussa, ampliata e attualizzata secondo le più recenti scoperte, non è possibile leggere le moderne teorie intorno ai fenomeni della vita e della natura prescindendo da una visione evoluzionistica. Essa è alla base di ogni modello scientifico elaborato su qualsiasi livello, dal molecolare al cellulare, fino ad arrivare agli organismi viventi e, in modo evidente, alle popolazioni. Non stiamo sostenendo che il racconto della creazione debba essere eliminato dai programmi scolastici: la Genesi e tutti i testi sacri sono parte integrante della storia culturale occidentale, la nostra storia. Lasciamo però tale compito alle ore di religione, di storia, o di catechismo.

L'evoluzione rappresenta una vera e propria teoria scientifica proprio perché elaborata attraverso osservazioni, formulando ipotesi e verificandole. Appare evidente che il creazionismo ha ben poco a che vedere con l'idea di scienza comunemente accettata. L'unico fondamento ideologico è l'autorità riposta nei testi sacri. Abbiamo già detto che l'evoluzione non può essere dimostrata direttamente; ma nella scienza molte sono le cose che non vengono dimostrate con certezza, ed è proprio di fronte a questi ostacoli che lo scienziato ricava lo stimolo, l'impulso per proseguire la sua ricerca.Ci appare dunque contraddittorio elevare a teoria scientifica, tale da poter trovare spazio nell'insegnamento durante le ore di scienze, un assunto ideologico che implica un atto di fede e che riguarda ambiti e questioni da inserire piuttosto nel quadro della storia delle religioni o della civiltà occidentale in generale. In breve, "unicuique suum".

Guido Gallo