Intervista a Marina Spada

Lezioni di cinema alla milanese

dall'imminente del dicembre 2006



È’ più difficile fare del cinema a Milano?
Secondo me è difficile fare cinema, Milano, Torino, Pavia o Bologna. Anche a Roma è difficile. Basta vedere che alla sezione esordi del Festival di Venezia quest'anno non c'era neanche un italiano. Questo è un paese che non investe: i milioni preferisce spenderli per una Festa del Cinema, piuttosto che promuovere i nuovi talenti e consolidare quelli che ci sono. Se non vengono affrontati questi problemi fare del cinema, già difficile in partenza, diventa quasi impossibile. In ogni caso secondo me è più facile fare del cinema a Milano. Certo, bisogna chiedersi cosa è cinema. Fare fiction televisiva è più facile a Roma che in Lombardia: Milano è sempre stata cinema contro, di ricerca, cinema altro, di barricata. A Roma mettersi a fare un film con 50 mila euro è una cosa da pazzi, noi lo facciamo. Essendoci poi meno baroni e meno preconcetti, senza contare la scuola del cinema che sta dando molto a questa città, e soprattutto la voglia - cioè qui non si lavora alle poste, non è che alle cinque si saluta e si va a casa - credo che forse a Milano si faccia più cinema che da altre parti.

È solo una questione di soldi? O c'è anche una mancanza di idee?
Beh sicuramente in partenza è una questione di soldi, perché se ci sono nuovi talenti senza i soldi non lo sapremo mai. Le idee d'altronde è molto raro che ci siano. Il problema è a monte, perché le nuove generazioni vengono cresciute in modo passivo, le si istruisce a rispondere a comando. L'unica soluzione è rifondare il sistema educativo, e far sì che le persone non vengano ammaestrate, ma trattate come esseri pensanti.

Quali sono i problemi che si incontrano quando si ha una buona idea?
Quando si ha una buona idea non si incontrano problemi. Io ho sempre visto che quando c'è una storia valida, prima o dopo si riesce a metterla in atto. Il consiglio è di lavorare moltissimo sulla sceneggiatura, senza la quale non si può avere il film, né tanto meno gli appoggi per farla. Quello che dico sempre ai miei allievi è, va bene lavoriamo gratis, ma leggiamo la sceneggiatura perché se è una boiata abbiamo di meglio da fare. Detto così sembra che per fare un film basti averne la voglia.Il problema non è tanto fare i film, ma distribuirli. Tu puoi avere anche il film dell'anno ma se non incontri una distribuzione, perché sei lontano da Roma, non per chilometri ma per relazioni, il tuo lavoro non lo vedrà nessuno. E non è un problema milanese ma italiano.Quindi la crisi del nostro cinema è dovuta a una carenza distributiva, non è colpa dei produttori. In Italia mancano produttori degni di questo nome: il produttore è un imprenditore che decide di lavorare e investire nel cinema e per farlo deve riconoscere il talento e i meccanismi per farlo emergere. Oggi in Italia ci sono solo produttori esecutivi: persone spesso poco competenti che comunque non mettono in gioco capitali propri.

Entrando un momento nella disputa condominiale fra Venezia e Roma, noi crediamo che Venezia abbia un'autorità che non vada toccata, lei cosa ne pensa?
D'accordissimo. Non capisco perché in tutto il mondo le istituzioni vengano conservate e aiutate, e noi che abbiamo uno straccio di festival che conta qualcosa andiamo a picconare anche questo. Riduciamo sempre tutto a qualcosa di locale, ed è per questo che nascono queste inutili rivalità. Semmai il festival di Venezia va rimpolpato costruendo nuove sale, mettendo a disposizione degli alberghi che non costino 400 euro e che non facciano schifo. E poi mica siamo l'America, quanti festival dobbiamo avere?

Lei insegna da più di dieci anni alla Civica Scuola di Cinema e Nuovi Media di Milano, qual è il ruolo della scuola nella nostra città?
Ha seminato tante di persone in grado di fare questo lavoro e alle quali è possibile attingere per i propri progetti. I miei alunni al primo anno già cominciano a lavorare ai loro lavori, o vanno a fare da assistenti a coloro che si sono diplomati da qualche anno. Esiste un tessuto professionale a cui fare riferimento. È un'istituzione che sta crescendo come presenza effettiva sul territorio.



Milano è una città cinematografica?
Assolutamente sì e il mio film ne è la testimonianza. In Come l'Ombra Milano si vede tantissimo perché sono milanese e mi interessa parlare della città. Il mio film non potrebbe essere ambientato che qui. O almeno in termini locali. Certo potrebbe essere una città del Nord America, del nord della Francia, della Germania. In questo momento stiamo lavorando per farlo uscire in sala.

Domanda di rito: quali sonoi film che hanno influenzato il suo lavoro? Secondo lei cosa è cinema? Quando siamo di fronte al cinematografico?
Tutto è cinematografico perché tutto può raccontare una storia, un punto di vista, una posizione politica e civile. Se invece ci chiediamo cosa è il cinema, come diceva Bazin, io credo esistano due cose distinte: l'intrattenimento e il cinema. Il cinema emana esprime un punto di vista con l'occhio, che è un punto di vista della mente, che è un punto di vista etico sulla vita.

Appunti di cinema transgender

Corpi davanti allo specchio

“(…) Quello che stavo dicendo è che costa molto essere autentica signora mia... e in questo non bisogna essere tirchie, perché una più è autentica quanto più somiglia all'idea che ha sognato di se stessa.”
(Antonia San Juan – Agrado –Tutto su mia madre)



Lo sguardo vivace e tenero di Neil Jordan si posa sulla vita di Patrick “Gattina” Braden e compone immagini di grande emotività: Patrick non rinuncia mai a vivere la propria identità, che sente essere fortemente femminile, e lo fa lungo tutta la propria esistenza senza sottrarsi alle offese del mondo esterno. Ed è di colori, musica gioiosa, senso di innocenza e fantasia che è fatta “Gattina”: un corpo “di confine” che vive senza mentire a se stesso. Come recitava il sottotitolo del film Girl like me ( Holland, 2006), biografia del giovane Gwen Araujo, assassinato allorché tre coetanei scoprirono che era biologicamente uomo: “he was just who she was”.
A partire dall’ ultimo decennio sono state realizzate numerose pellicole in grado di declinare la ricerca dell’ identità sessuale e la tematica “transgender”, le quali hanno certamente fruito di una maggiore libertà espressiva e “trasgressiva” dettata dal maturare dei tempi. Mi chiedo, ad esempio, come invece poteva essere negli anni Sessanta, nel nostro Paese, assistere alle immagini di un film come Frenesia dell’ estate (Luigi Zampa, 1963), nell’ episodio in cui Vittorio Gassman, integerrimo colonnello di marina, viene turbato in un locale notturno dall’ attrazione per una donna che crede un travestito (cosa che invece non è): la rappresentazione del disagio psicologico ed emotivo che il solo pensiero genera nel protagonista è emblematica. Piccoli e grandi “outing” post ’68 nel Vedo Nudo di Dino Risi, protagonista un Nino Manfredi zelante impiegato con doppia vita al femminile, con tanto di vestaglietta e ciabattine rosa. Iconografia quasi anticipatrice dell’ esplicitazione apertis verbis della “coppia di fatto” de Il Vizietto di Edouard Molinaro (1978). Renato (Ugo Tognazzi) e Albin (Michel Serrault) gestiscono un night per travestiti, dove quest’ ultimo si esibisce come “Zaza”. Il film ha segnato profondamente l’ immaginario collettivo, tanto da avere ben due sequel ed un remake hollywoodiano, Piume di Struzzo (1996), con Robin Williams ed un grandissimo Nathan Lane. Tornando al presente, sono stati prodotti di recente in Italia alcuni significativi documentari, prove sincere di consapevolezza e realismo. In particolare Cachaça (F. Benvenuti, 2005) e Crisalidi (F. Tinelli, 2005). Da segnalare anche Come mi vuoi di Carmine Amoroso (1996), in cui il mondo trans è volutamente dipinto con grande crudezza; pellicola in cui ha esordito anche Vladimir Luxuria, che ritroviamo nel più recente film a tema: Mater Natura (Massimo Andrei, 2005). Quest’ opera ha colpito per le sue caratteristiche vivide e visionarie, nonché per la commistione di ispirazioni e stili, dalla sceneggiata partenopea, a Pappi Corsicato, al maestro Almodovar. Nel film di Andrei prendono vita personaggi estremi, ma non per questo meno autentici nella loro umanità. Questo è ciò a cui gli spettatori non possono restare indifferenti: Almodovar insegna che dinanzi all’ impetuosità della Vita e delle sue passioni, che sono commedia e tragedia al tempo stesso, non dobbiamo temere di addentrarci in mondi spesso eccentrici, trasgressivi. E’ un invito a sospendere la nostra incredulità, ad abbandonare i canoni della verosimiglianza e, perché no, dei falsi moralismi di tanti “benpensanti”.



Jessica Perini

Luigi Tenco - La canzone di protesta prima della rivoluzione

Figli del Boom

"Bisogna creare qualcosa, rompere il cerchio che ci soffoca, altrimenti è meglio piantare tutto. Non si vive per riuscire simpatici agli altri. A me i soldi, il successo, non interessano, li lascio a quelli più furbi di me in questo genere di cose".


“Il miracolo economico…Balle, roba da giornali.. Si il miracolo c’è, ma per i ricchi, ma quelli nascono miracolati.” La cuccagna è un film sul Miracolo Economico che racconta un’Italia, quella degli anni ’60, incastrata in un limbo disordinato, fra nostalgie del ventennio, voglia di costruirsi un futuro, rabbia, apatia e ingenuità. Ciò che ci viene mostrato è solo l’assenza del boom di cui tutti parlano, che sembra essere più una tendenza culturale che una reale rivoluzione sociale.
Luigi Tenco questo l’aveva capito e lo cantava nelle sue canzoni. E forse anche per questo Luciano Salce lo scelse per recitare la parte di Giuliano, un ragazzo contro, arrabbiato con la società e incapace di accettarne le troppe colpe ingiustificate. Non si trattò di una parte di protagonista, perché per un personaggio come quello di Giuliano un simile ruolo era impossibile nella storia di quegli anni: non c’era spazio per coloro che non si ubriacavano di Boom allora. Per questo Giuliano altri non è che un anticipatore dei contestatori che dal ’68 metteranno in atto una rivoluzione culturale nei confronti del sistema sociale italiano. Ma Luigi Tenco è qualcosa di più che un semplice precursore della rivoluzione. Certo qualcosa di diverso. Siamo nel 1966 quando durante un dibattito sul tema "La canzone di protesta" tenutosi al "Beat 72" di Roma, un gruppo di contestatori istupiditi da troppa vuota ideologia si scaglia con il cantautore accusandolo di non fare vera protesta attraverso la sua musica, ma anzi di essere un venduto, un ipocrita, speculando con le sue parole. Tenco viene chiamato mistificatore e servo sciocco perché con le sue canzoni non fa che far guadagnare coloro contro cui esse sono rivolte. Ma è una qualcosa di diverso da una rivoluzione ciò che Luigi Tenco vuole portare avanti: “ Se dentro le canzoni ci metto delle idee, queste idee si trasmettono con le canzoni. Solo che per diffondere adeguatamente le canzoni è necessario che io trovi la maniera di farlo con gli stessi strumenti della società a cui mi rivolgo. Altrimenti è inutile, ne fai a meno, non protesti.” Una dichiarazione tanto matura quanto impopolare, soprattutto nei confronti di quei movimenti che di lì a poco si lanceranno contro un status quo con l’intenzione di stravolgerlo, con l’unica certezza di non voler scendere a compromessi. Ma non si tratta di compromessi neanche per Tenco: “ Io compromessi non ne ho fatti mai, con nessuno, perché non ne so fare, non riesco a venire a patti con la coscienza. Io sono come sono. E poi la mia non è una protesta che nasce intellettualmente, con il fatto di dire adesso io protesto contro Tizio o contro Caio. Nasce al di fuori della propria volontà, dal fatto che uno si sente estraneo a un dato meccanismo... Cioè io insomma le canzoni come le fa Morandi, non le so fare. Succede che a un certo punto mi salta la gomma e dico: ecco, io il militare non lo voglio fare, non so andare a morire... E questo è uno sfogo spontaneo, una protesta sincera. Non è stata studiata al tavolino. Così le parole di quasi tutte le mie canzoni esprimono questo senso, come dire, di malessere. Si può protestare in mille modi. Questa è la maniera mia, e viene dal mio carattere.”




Tanto ci sarebbe da dire della personalità tormentata di questo complesso cantautore italiano, ma da crediamo che meglio di qualsiasi tributo o biografia siano le sue musiche a raccontarci il suo carattere e la sua visione della vita, e poi ci piace pensare che forse proprio questo dar voce a ciò che Luigi Tenco teneva a far sapere riguardo la sua opera e il suo lavoro sia la maniera migliore di rendere onore uno dei maggiori cantautori italiani.


- Alla lunga, magari senza accorgertene, il meccanismo che tu credi di aver conquistato, ti condizionerà. E finirai anche tu come gli altri. Vedi Modugno, che cominciò con le canzoni sui minatori e i pescatori siciliani...- Padroni di pensarla come volete. Io ho preso una strada che a me sembra buona e non la mollo. Anzi, mi sembra tanto buona che vorrei avere un pubblico sempre più grande, immenso, tutto quello che con i mezzi industriali di oggi è possibile raggiungere. E il giorno in cui riuscissi a farcela, e ad avere questo pubblico dalla mia, state pure certi che non lo inviterò a volare nel blu dipinto di blu...


Antonino Valvo

Il Museo del Cinema di Milano

Una piccola cantina nel cuore di Milano


dall'imminente del maggio 2006
Il suo ingresso si affaccia su via Manin, l'arteria che congiunge piazza Cavour a piazza Repubblica, ma di sicuro è più affascinante arrivarci dai Giardini Pubblici di Porta Venezia, dove lo si trova, quasi nascosto, all'estremo lato ovest del parco, sulla facciata posteriore di Palazzo Dugnani. E' uno spazio inatteso di intimità, piccolo, silenzioso, accogliente.Il Museo del Cinema della Fondazione Cineteca Italiana di Milano è l'indirizzo che abbiamo scelto per dare il via, a partire da questo numero dell'Imminente, ad un viaggio ideale fra i luoghi migliori del "Fare Cinema" nella nostra città. Sono solo tre sale, due di esposizione e una per le proiezioni. Non è la Mole Antonelliana. Eppure, dalla sua visita si possono ricavare impressioni piacevoli e per qualcuno forse inedite: quelle del contatto con un Cinema piccolo, familiare, amichevole. Le stanze sono allestite con documenti, poster, fotografie e macchinari d'epoca, secondo il progetto di Gianni Comencini e Walter Alberti, fondatori del Museo nel 1986. Vi si ripercorrono le tappe salienti nell'evoluzione della settima arte, a partire dagli strumenti ottici Sette e Ottocenteschi del precinema, passando per le esperienze e l'evoluzione dal cinema muto, fino all'avvento ed al trionfo del sonoro, a Hollywood e Cinecittà.La nascita del Cinémato-graphe data 28 dicembre 1895, con la proiezione al Grand Café sul Boulevard des Capucines, a Parigi, in fronte ad un pubblico sbigottito, dei dieci mini-film di Louis e August Lumière. La stagione del muto sarà in fondo limitata a pochi decenni, ma regala al mondo l'incanto dei primi lungometraggi.
Il Museo ospita un esemplare di apparecchio cinematografico di quel tempo, un "reversibile" (adatto cioè sia alla ripresa che alla proiezione dei film). Ecco poi i disegni e i bozzetti preparatori per Voyage dans la lune (1902) e per Les 400 coups du diable (1906) di Georges Méliès. In pochi anni muove i primi passi anche il cinema muto italiano, con i suoi divi ante-litteram, i suoi kolossal e, naturalmente, le sue sale cinematografiche: i fogli pubblicitari del cinema centrale di Milano (1909) ci illustrano un ritrovo alla moda per gentiluomini con mustacchi e madame dai copricapi eccentrici.Dopo gli anni Venti delle eversive avanguardie storiche, gli anni Trenta si annunciano con la rivoluzione tecnica del suono. Dell'Italia del fascismo, oltre al modello del celebre Teatro di posa n°5, si ricorda anche il primo lungometraggio d'animazione, La rosa di Bagdad di Anton Gino Domeneghini (rodovetri del 1939), che apre la sezione dedicata ai cartoonist del Belpaese. Ecco infine una interessante galleria di manifesti d'epoca, selezionati tra i più di cinquantamila stampati in possesso della Fondazione Cineteca Italiana. Fra le opere nazionali, da non mancare i poster di Miracolo a Milano, Sciuscià, Riso Amaro, La Terra trema e Mamma Roma.Oltre a gestire il Museo, la Fondazione Cineteca Italiana si occupa di organizzare proiezioni, incontri ed eventi di approfondimento nella città di Milano.

Museo del Cinema - Collezioni della Cineteca Italiana
Palazzo Dugnani - Via D. Manin, 2/B20121 MilanoTel 02.655.49.77
Orari di apertura: da venerdì a domenica dalle 15.00 alle 19.00
Proiezioni: ore 16.00, 17.00, 18.00
Ingresso: Adulti E 3.00 ; Bambini E 2.00

Antonin Artaud - Uomo di Cinema

Tributo al tormento di un poeta


Artaud multiforme ingegno. Come era possibile lasciarlo ancora tacere? Da qui la mostra Volti/Labirinti allestita al PAC di Milano, concepita come un collage di tutti i linguaggi artistici in cui la sua personalità esplosiva si era cimentata. In questa abile operazione multimediale è stato riservato un ampio spazio alla sezione cinema (ricordiamo anche le due preziose rassegne cinematografiche correlate alla mostra - la prima sui film con Artaud attore presso lo spazio Oberdan, la seconda sul cinema che ha abbracciato la concezione artaudiana della "crudeltà" presso il cinema Gnomo). Perché Artaud è stato uomo di cinema. Artaud amava il cinema: "Amo il cinema. Non importa che genere di film. Il cinema implica un rovesciamento completo dei valori, uno sconvolgimento dell'ottica, della prospettiva della logica". Presterà il suo volto penetrante, la sua nervosa ed estremamente espressiva gestualità in ben ventidue pellicole. Non memorabile il suo Marat nel Napoleon di Gance, pellicola incentrata troppo sul tema dell'epopea - "parossismo in un'epoca che era essa stessa parossismo". Diversamente Artaud ci ha regalato un'intensa interpretazione con la parte del monaco Massieu ne La Passione di Giovanna d' Arco di Dreyer. Indimenticabile il dialogo tra Giovanna e Massieu che la prepara alla morte: i primissimi piani di questi volti senza trucco rivelano in modo straordinario l'intimo gioco dei sentimenti, riuscendo a turbare l'emotività dello spettatore.
Nell'arco discendente del suo astro l'artista rimase deluso dalla macchina cinema: "Il mondo cinematografico è un mondo morto, illusorio, fatto a pezzi, non permette alcun rimescolamento né alcuna ripetizione, condizioni maggiori della lacerazione della sensibilità". Probabilmente pensava che fosse impossibile trasferire sullo schermo i principi del suo "teatro della crudeltà". Ignorava quanto il suo pensiero avrebbe influenzato le generazioni a venire.


Crisitana Caffiero