waterfootprint.org

L'acqua è un bene prezioso e bisogna usarla responsabilmente. La popolazione mondiale aumenta, le risorse idriche a disposizione rimangono uguali. Ci laviamo i denti chiudendo il rubinetto e ci facciamo la doccia invece che il bagno. Ma c'è dell'altro: sappiamo che quando beviamo il caffé al mattino per produrre il contenuto della tazzina che abbiamo in mano occorrono 140 litri d'acqua? Non sto vaneggiando, sto parlando di water footprint, impronta d'acqua. E' un concetto recente, ma che si rifà all'idea più antica di impronta biologica: la misurazione delle risorse usate per produrre un dato prodotto, dalla sua realizzazione al suo smaltimento come rifiuto. L'impronta d'acqua si concentra sul consumo di H2O. Come ci si potrebbe aspettare, i campioni di consumo sono gli statunitensi, con 2500 metri cubi di acqua all'anno a persona. E al secondo posto? Ci siamo noi, gli italiani: 2.300 metri cubi, un milione di litri in più degli inglesi. Ridurre questo spreco di acqua (senza rimetterci in tenore di vita) si può. Si comincia con l'usare le tecniche migliori per produrre un bene. Le differenze nella quantità d'acqua consumata per produrre la stessa cosa tra un Paese e un altro dimostrano come sprechi e inefficienze contino tantissimo (un chilo di grano in Italia "beve" 2.421 litri d'acqua, più del triplo di quelli necessari in Cina: 690) e si possano ridurre. Poi, e qui entra in scena la coscienza di ognuno, si deve cercare di consumare prodotti a minor "impatto d'acqua". Ad esempio, basando la propria dieta su vegetali invece che su tonnellate di carne: si risparmierebbero ettolitri del prezioso liquido (per produrre 1kg di carne il consumo d'acqua è di 1600 litri, contro i 900 sufficienti per ottenere 1kg di mais). Concedetemi questa metafora: se svuoteremo il bicchiere per far stare meglio tutti lo vedremo, sempre più spesso, mezzo pieno.



Paola Gallo

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