Il passaggio della linea di Pietro Marcello

Perchè saliamo su un treno?



Cosa sono i confini? Linee di demarcazione reali o immaginarie che determinano spazi, persone, pensieri, sentimenti. Al di qua e al di là tutto cambia, tutto è diverso. Ogni volta che varchiamo una soglia, stringiamo una mano, rivolgiamo la parola a qualcuno attraversiamo un confine, stabiliamo un contatto con una realtà altra. Questo è viaggiare. Indagare l'ignoto. Scrutare, affascinati, l'orizzonte e i suoi cambiamenti e scoprire cosa di questo 'mondo nuovo' ci piace e cosa no. Confrontarci con esso, conoscerlo e definirlo. Il viaggio tipo è la vita. Ogni scelta altro non è che un passaggio di confine. Nulla è predeterminato. Il nostro percorso è figlio dei gesti che attimo dopo attimo, consapevolmente o meno, compiamo. In alcuni casi le nostre decisioni sono dettate da ragioni o motivazioni concrete, altre volte si tratta di coincidenze ed è così che, quasi per caso, ci si trova a condividere un destino (o parte di esso), una casa, un compito. Un viaggio. Cos'è che spinge a salire su un treno? Perché attraversare tutto il paese? Vacanza, lavoro, famiglie lontane da raggiungere. Molteplici sono le risposte, molteplici le variabili. Perché un lento convoglio notturno? Non è forse più confortevole viaggiare in auto, in aereo o con l'avanzata tecnologia dell'alta velocità? Spesso il denominatore comune delle tante preferenze accordate è il risparmio. Risparmiare tempo e denaro. Viaggiando di notte si guadagna una giornata di lavoro e lavorando si guadagna. E alla fine 'siamo tutti schiavi del denaro' anche se, o forse proprio perché, ' il denaro è dannato'. Per Pietro Marcello quei vagoni rappresentano un viaggio nel viaggio. Prendere posto negli scompartimenti o tra gli strapuntini vuol dire conoscere persone e storie. Condividere problemi, speranze, visioni di vita. Oltrepassare confini non solo regionali ma anche mentali, abbattere barriere linguistiche, luoghi comuni e pregiudizi. Cercare di comprendere. Ascoltare e (ri)raccontare. E mentre l'Italia con le sue stazioni fa da sfondo alle parole in libertà di un microcosmo ampio e variegato la macchina prende confidenza con l'ambiente, si confonde coi tanti passeggeri che affollano giorno dopo giorno, notte dopo notte, questi treni a lunga percorrenza diventando così solo uno dei tanti con cui chiaccherare nell'attesa di arrivare. Capita allora che carrozze e rotaie diventino il simbolo di una libertà assoluta e che guardare oltre il finestrino la linea dell'orizzonte che progressivamente e instancabilmente si allontana per poi riavvicinarsi non affascini più.




Claudia De Falco

Angelo Badalamenti

dall'imminente del marzo 2006

Seduzioni cupe scandite da un basso continuo


Il progetto di Mulholland drive era nato già nel 1999, pensato come film per la tv con la regìa di Lynch. La cura della colonna sonora era stata affidata, ancora una volta, ad Angelo Badalamenti, il quale pensò da subito al tema principale del film: note ricche di evocatività e tratti oscuri, per dare voce alle immagini di un film ellittico, complesso, visionario, che cerca risposte e pone soltanto domande.
Dopo gli studi presso la celebre Eastern School of Music, il giovane Badalamenti (classe 1937) inizia a percorrere la propria affascinante strada verso il mondo della musica da film; a partire dai primi anni Settanta crea alcune composizioni con lo pseudonimo di Andy Badale. E' il suo pianoforte ad accompagnare la voce, poco addomesticata, di Isabella Rossellini in Velluto blu di Lynch: il regista ascolta la sua musica in una audiocassetta e ne rimane conquistato. Ne nasce una collaborazione profonda, e si consolida tra i due artisti la scelta di un consapevole metodo di lavoro "gomito a gomito". Ha così descritto Badalamenti: "(…) Mentre io sto suonando, David vede, immagina cose. Egli dipinge nella sua mente immagini, mette a fuoco progetti e idee, spesso andando ben oltre ciò che si era prefissato…" E' possibile parlare di vera e propria "osmosi" tra le due creazioni artistiche, quella del compositore e quella del regista, unite da una sintonia che è al tempo stesso emotiva, estetica e concettuale.
Addirittura è successo che, durante la complessa genesi di Mulholland drive, i due si scambino bizzarramente i ruoli, senza eccessivi traumi: Badalamenti interpreta difatti nel film l'ambiguo e indisponente produttore cinematografico, dai tratti vagamente lugubri e mafiosi; Lynch, dal canto suo, firma alcuni momenti della colonna sonora. Quest'ultima riveste un ruolo di primo piano nel film grazie alla sua spiccata capacità di legarsi alle immagini: un tema principale di toni marcatamente oscuri e "lynchiani", cui il compositore decise poi di aggiungere gli archi. Da ultimo, come racconta lo stesso Badalamenti, fu in seguito ad un intenso soggiorno a Praga che, d'intesa con Lynch, vennero inseriti nei brani della soundtrack anche clarinetti e bassi: "(…) Che crearono un effetto astratto simile all'innescarsi di un incendio, di ciò che ti scalda l'anima".
Le partiture di Badalamenti sono intense, riconoscibili, "tragicamente dense ed eleganti" come le note del Twin Peaks (1990-'92) che stregarono il pubblico e raggiunsero vendite quasi impensate per una colonna sonora. La personalità di un compositore lucido e sempre alla ricerca di atmosfere, che nella sua carriera sempre meno ha voluto prescindere dal contatto diretto con i registi, Lynch su tutti, poiché ama "avere qualcuno accanto a sé che partecipi al suo lavoro, così da poterne sentire le vibrazioni… questo è il momento in cui la metà dell'opera è fatta…"
Atmosfere seducenti, misteriose, che affascinano sul filo dell'ambiguità e della visione che inghiotte e fa disorientare lo spettatore: in un mondo immaginifico e musicale che è, sostiene Badalamenti, "un po' scuro".
"Io penso a questo mio mondo come a qualcosa di tragicamente bello. Questo è il modo in cui descriverei quel che amo di più: tragicamente bello."


Jessica Perini