Tre ipotesi sulla morte di Giuseppe Pinelli



Molti sono gli spettacoli e le canzoni dedicati a Giuseppe Pinelli, ma a 39 anni dalla strage di piazza Fontana, a resistere alla prova dei decenni è rimasto solo Morte accidentale di un anarchico, di Dario Fo. Poco ricordato è ad esempio Documenti su Giuseppe Pinelli, lungometraggio del 1970 a doppia firma Elio Petri e Nelo Risi (fratello di Dino). All'interno di quest'opera impegnata e severa si trova una sequenza preziosa: gli undici minuti di Ipotesi su Giuseppe Pinelli, girati da Petri in uno stanzino disadorno, riproduzione dell'ufficio del commissario Calabresi nella questura di Milano.Accigliato, sotto grandi baffi, Gian Maria Volontè annuncia di volere ricostruire, e con lui altri quattro attori, la precisa dinamica della morte di Pinelli. L'ovvio intento dell'operazione è smascherare l'assurdità delle versioni ufficiali fornite dalla magistratura, che parlino di balzi felini o di un uomo che calza tre scarpe. Ciò che più si fa godere come originale è l'atmosfera da teatro-cinema, con la cinepresa fissa su un cavalletto e la recitazione inframmezzata da letture degli atti dell'inchiesta. Oppure la possibilità di osservare Volontè che per una volta smette i panni di Fregoli e si trova alle prese con la sua vera faccia, la sua vera voce e il suo vero accento: tre cose sorprendenti, quasi insospettabili.

Daniele Belleri


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Milano Centrale

intervista al regista Alan Maglio



a cura di Antonino Valvo

Come è stato il tuo incontro con la Stazione Centrale?
Ho cominciato a frequentare la zona grazie a degli amici che si incontravano lì. Ciò che mi attraeva di più era la volontà di trovarsi all'esterno per fare comunità: una sorta di polis, dove lo spazio pubblico diventa luogo deputato all'incontro, una socialità esibita senza che nessuno si preoccupasse di ciò che poteva pensare la gente.
Che obiettivo volevi raggiungere con il film?
Dei neri, dell'immigrazione, delle condizioni in cui vivono se ne è parlato molto ma sempre in maniera banale, con le storie più eclatanti e il degrado che le circonda. Io volevo concentrarmi sulle persone, su quello che pensavano e desideravano. Sapevo che non ero finanziato da nessuno e questo mi ha concesso più tempo: se volevo spenderci un anno, come poi ho fatto, nessuno me lo impediva. Il processo ha funzionato anche per questo motivo.
Come hanno reagito le persone coinvolte?
Alcune sono miei carissimi amici con cui ho condiviso ben più di un film. Gli altri le prime volte avevano timore, c'era chi non voleva farsi riprendere da una telecamera, e poi non ero africano, non ero uno di loro e questa cosa creava sospetto. Ma alla fine la curiosità ha vinto la diffidenza. Come ti sei mosso durante la lavorazione?
Abbiamo iniziato in maniera pretestuosa, con delle interviste. Si arriva a parlare dell'arte e delle donne, di politica solo quando hai tirato fuori i soliti discorsi: mi piace l'italia, sono nero, sono discriminato, ho la famiglia etc. Superato quello arrivi a un altro livello di dialogo, più profondo e originale. Alla fine c'era così tanta voglia di esprimersi che tenevo la telecamera accesa anche per 30/40 minuti.
Quando hai capito che il film era finito?
Terminate le riprese mi sono trovato con più di 20 ore di materiale. Ho avuto bisogno di tre mesi per catalogare e selezionare. Ho visto il tutto con Alessandro Tinelli che ha composto la musica e che mi ha aiutato al montaggio. Poter avere l'opinione di una persona che guardasse con occhi nuovi il girato è servito per far nascere concretamente il film.
Che via hai usato per la distribuzione?
Una volta finito il film come primo polo di divulgazione ho voluto il Festival del Cinema Africano di Milano, che ho frequentato come spettatore per dieci anni. Grazie alla visibilità che mi ha dato il festival di Milano sono stato chiamato da altre manifestazioni: Torino, Ancona, in Spagna, ad Amsterdam e addirittura Dubay.Hai mostrato il film in alcuni licei: come hanno reagito gli studenti?La reazione è stata ottima: il pubblico, composto da ragazzini cinesi, arabi, africani e italiani sentiva molto l'argomento. E non solo l'uditorio di origine africana ha risposto, ma anche ragazzi rumeni si coinvolgevano venendomi a raccontare le loro storie.

Il vicesindaco DeCorato ha pubblicizzato molto il piano di pulizia in atto in Stazione Centrale. Le persone che hai conosciuto come hanno vissuto questa trasformazione?
Male. Si avverte il momento pericoloso. La presenza dell'esercito per le strade pesa a molti di noi, immagina cosa può essere per una persona straniera, magari senza documenti che si vede schierate in mostra le forze dell'ordine: banalmente cambia aria, va altrove. Questo rende il mio film quasi archeologia, visto che quello che si vede non esiste più. È stato messo un certo freno alla criminalità ma sia gli aspetti positivi che quelli negativi continuano, solo non sotto i riflettori. Avvicinandosi l'Expo vogliono presentare la città come un vetrina perfetta ma è un'operazione inutile senza delle vere politiche di risoluzioni ai problemi. Per ora quello che è stato fatto è solo aver spazzato via i problemi come si fa con la polvere sotto il tappeto.


Potete vedere il film Milano Centrale su youtube.com/imminente08

Il Signor Perelà?!

Omaggio libero al futurismo


Dopo Cristo, Perelà. Arriva leggero e innocente l'uomo di fumo che riscriverà il Codice. Più precisamente arriva al Teatro Litta con lo spettacolo Il Signor Perelà?! in scena dal 24 novembre al 14 dicembre 2008 e tratto dalla novella di Aldo Palazzeschi Il Codice di Perelà. Di ispirazone futurista, il romanzo è ben più che un semplice modello del movimento artistico e culturale che esplose in Italia nel 1909 con il Manifesto di Marinetti. La vicenda dell’omino di fumo che con la sua venuta sconvolge l'impero delle convenzioni diventa, nella sua frivolezza, senza tempo. Lo spettacolo, per la regia di Mariano Furlani, è la prima produzione della stagione del Litta, nonostante la genesi del progetto risalga a due anni fa, durante la lavorazione di Visioni di Solaris, altra produzione del teatro di corso Magenta. A tre attrici venne lanciata dal regista Antonio Sixty una sfida: portare in scena un testo scelto e elaborato in completa libertà, con a disposizione mezzi e spazi del teatro. A rendere concreto il lavoro delle tre giovani l'incontro con Mariano Furlani a cui va il merito di aver catturato e reso palpabile l'atmosfera ironica e insieme feroce del romanzo. Grazie al prezioso supporto di Raffaele Rezzonico, l'adattamento è insieme sintesi e superamento del testo originale: il coro di personaggi che accoglie Perelà è concentrato in tre voci dall'umanità tagliente. Bianca Delfino Bicco Delle Catene, una debole figura che trascina come un fantasma il suo amore per la non vita (e per la morfina); Donna Giacomina Bàrbero di Ca' Mucchio, femmina devota alle convenzioni, sui cui rituali della quotidianità basa ogni sua certezza. Infine la Duchessa Zoe Bolo Filzo apoteosi della femme fatale, feroce seduttrice e fredda dominatrice delle anime di tutti gli uomini. Vittime tutte e tre dell'illusione infranta chiamata uomo cercano di proteggersi, ognuna a suo modo, fino all'avvento di Perelà. A queste tre dame è dato il compito di ricevere l'Uomo di Fumo e subirne l'incanto. A tre giovani donne, in ordine Isabella Macchi, Stefania Umana e Sara Bellodi, quello di portarle sulla scena. La dimensione letteraria del testo si realizza nello spazio raccolto che è la sala LaCavallerizza del Teatro Litta, ricavata da una vecchia stalla. Su una scena essenziale ma multiforme, data da tre cassettoni mobili dipinti con il tricolore nazionale, vivranno le immagini della poesia di Palazzeschi. I costumi, realizzati da Marcella De Faveri, sono rappresentazione dei caratteri portati all'eccesso, esplosione di personalità immaginarie che danzano su sonorità futuriste. La struttura di convenzioni e buone maniere presa di mira con ironia grottesca e spietata, prende forma in una messa in scena che sfiora e combina il cabaret surrealista, le esperienze futuriste, il melodramma borghese.


Perelà? Risolverà? Si chiedono le tre Dame. Perelà prende forma nelle loro parole, nei loro racconti, impalpabile come un ricordo e, come la speranza, aureo. Un uomo perfetto, un amante ideale, il nuovo salvatore, il Dio che realizzerà ogni desiderio, crocifisso per risorgere. Egli è tutto questo ma plasmabile come una diceria, nei mormorii delle tre dame diviene anche il bugiardo, lo sciagurato che si approfitta della debolezza femminea: in fondo è sempre un uomo, mormora Zoe. Come il nuovo Gesù di The Second Advent di Mark Twain, il nebbioso messia di Palazzeschi una volta rivelato non verrà accettato dal suo popolo. E scacciato volerà via, nel cielo, risorgerà fra le nuvole. Come Cristo. Dopo Cristo. Perelà.

Antonino Valvo

Dal 25 novembre al 14 dicembre 2008
LITTA_produzioni
DEBUTTO NAZIONALE

SIGNOR PERELÁ?!

Da Il Codice di Perelà di Aldo Palazzeschi
Regia Mariano Furlani
Consulenza al testo Raffaele Rezzonico
Con Sara Bellodi, Isabella Macchi, Stefania Umana
Disegno Luci Fulvio Melli
Costumi Marcella de Faveri

Sala La Cavallerizza
Corso Magenta, 24 Milano
repliche dal martedì al sabato alle 21.00 – domenica 17.00 – lunedì riposo
biglietti € 12/ €9

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All'interno

Intervista ad Alan Maglio, il regista del film Milano Centrale che potrete vedere presto sul nostro canale youtube. Inoltre un viaggio nella Libreria del Mondo Offeso e lo speciale sull'anniversario del futurismo con lo spettacolo Il Signor Perelà?! in scena al Teatro Litta. E ancora gli incredibili opere d’arte di Blu, e la nostra vetrina, dedicata questo mese al comics-magazine LaScimmia.

waterfootprint.org

L'acqua è un bene prezioso e bisogna usarla responsabilmente. La popolazione mondiale aumenta, le risorse idriche a disposizione rimangono uguali. Ci laviamo i denti chiudendo il rubinetto e ci facciamo la doccia invece che il bagno. Ma c'è dell'altro: sappiamo che quando beviamo il caffé al mattino per produrre il contenuto della tazzina che abbiamo in mano occorrono 140 litri d'acqua? Non sto vaneggiando, sto parlando di water footprint, impronta d'acqua. E' un concetto recente, ma che si rifà all'idea più antica di impronta biologica: la misurazione delle risorse usate per produrre un dato prodotto, dalla sua realizzazione al suo smaltimento come rifiuto. L'impronta d'acqua si concentra sul consumo di H2O. Come ci si potrebbe aspettare, i campioni di consumo sono gli statunitensi, con 2500 metri cubi di acqua all'anno a persona. E al secondo posto? Ci siamo noi, gli italiani: 2.300 metri cubi, un milione di litri in più degli inglesi. Ridurre questo spreco di acqua (senza rimetterci in tenore di vita) si può. Si comincia con l'usare le tecniche migliori per produrre un bene. Le differenze nella quantità d'acqua consumata per produrre la stessa cosa tra un Paese e un altro dimostrano come sprechi e inefficienze contino tantissimo (un chilo di grano in Italia "beve" 2.421 litri d'acqua, più del triplo di quelli necessari in Cina: 690) e si possano ridurre. Poi, e qui entra in scena la coscienza di ognuno, si deve cercare di consumare prodotti a minor "impatto d'acqua". Ad esempio, basando la propria dieta su vegetali invece che su tonnellate di carne: si risparmierebbero ettolitri del prezioso liquido (per produrre 1kg di carne il consumo d'acqua è di 1600 litri, contro i 900 sufficienti per ottenere 1kg di mais). Concedetemi questa metafora: se svuoteremo il bicchiere per far stare meglio tutti lo vedremo, sempre più spesso, mezzo pieno.



Paola Gallo