Intervista a Maurizio Nichetti

dall'imminente del gennaio 2007

Al cinema solo banalità


a cura di Antonino Valvo

Lei ha iniziato la sua carriera cinematografica con Ratataplan, un film muto e stravagante. È un film di questo tipo che servirebbe oggi?
Io credo che è sempre tempo di film belli che interpretano la loro epoca, e Ratataplan era uno di questi. Oggi ha 25 anni: non è rappresentativo del mondo contemporaneo. Oggi voi avete la Notte prima degli esami e Muccino, che vi possa piacere o meno è il tipo di cinema emerso da questi anni: la gioventù rappresentata nei suoi momenti più superficiali. Certo, alla fine degli anni 70 la società viveva un momento culturalmente più ideologico rispetto ad oggi. Adesso il fermento politico ha il sapore di un teatrino televisivo dove i personaggi diventano famosi perché aggrediscono l'avversario. Questo non può avvicinare una generazione giovane a degli ideali. E questa assenza di ideali ha toccato anche il cinema che è diventato accondiscendente verso il ritratto generazionale. Noi rappresentavamo l'alternativa, l'eccentrico. Io non mettevo in scena giovani normali, ma quelli che facevano teatro, che volevano fare le comuni e vivere fuori dagli schemi. Oggi invece tutto questo viene un po' tralasciato: ci saranno sicuramente delle eccentricità e delle realtà particolari, ma sullo schermo arriva solo il banale. Adesso l'originalità coincide con il successo di mercato (e anche la sperimentazione) solo nel cartone animato, è questo il caso di Shrek.

Perché non riusciamo a rappresentare l'eccentricità?
La crisi del cinema nasce dal fatto che non ha un mercato, non è un'industria ed è finanziata solo dalla televisione, la quale fa passare soltanto progetti che possono andare in prima serata. Il che priva il cinema della sua funzione primaria: quella di non essere televisione. Quando feci Ratataplan avevo trovato un produttore, Cristaldi, ma se oggi fossi un giovane che vuole fare un film come quello, lo farei con i miei soldi, con le mie telecamere, a bassissimo costo. Ma certo partendo così dal basso diventa difficile arrivare alle sale e raggiungere un successo di mercato, nel senso nobile di un'opera in grado di distinguersi per il suo valore rispetto alle altre offerte. Oggi l'offerta consiste solo in un prodotto commerciale spesso prevenduto alla tv che dà al pubblico ciò che vuole.






Come è cambiata la televisone dai tempi di Ladri di Saponette o Ho fatto Splash ad oggi?
Io appartengo a una generazione che aveva uno o due canali al massimo, che quindi erano molto selettivi; inoltre era possibile rimanere nell'immaginario delle persone per tanto tempo anche con una trasmissione una volta alla settimana. Oggi esistono mille canali che trasmettono a tutte le ore. Oggi diventa popolare il personaggio che fa più ore di trasmissione, non quello che le fa meglio, ma colui che riesce a stancare meno il pubblico. Lo spettatore poi può accedere a canali d'informazione audiovisiva talmente diversificati, internet, satelliti, canali tematici, che immagino siano anni che un giovane della vostra età non guardi i canali generalisti. Sembra quasi, se vogliamo essere cattivi, che qualcuno abbia fatto di tutto per fare diventare la televisione generalista poco interessante per invogliare lo spettatore ad acquistare tv satellitari e paytv.

E la pubblicità?
La pubblicità ha contaminato tutta la produzione audiovisiva, soprattutto per quanto riguarda il ritmo. In qualsiasi tipo di programma, non necessariamente brutto, tutto è molto breve, veloce, come tanti spot messi insieme dove niente è così importante da durare 10 minuti, ma tutto deve riuscire a colpire in 30 secondi. Ed è la pubblicità stessa ad esserne stata danneggiata: se quella velocità diventa una caratteristica dei programmi, quando parte la pubblicità non è più quell'esplosione di ritmo che era una volta.

Quindi si può dire che la pubblicità abbia contaminato la televisione e la televisione il cinema. È cambiato anche il ritmo del cinema?
I film con tanti effetti speciali hanno sempre avuto un ritmo frenetico. Era il cinema d'autore italiano ed europeo ad avere dei ritmi lenti. Solo durante i festival si possono trovare tracce di questo cinema, ma tanto più un film è lento e vince ai festival meno si vedrà nelle sale. Questa è un equazione matematica. Questo tipo di i film non rappresentano più il cinema, ma sono solo esempi di come si lavorava 40 anni fa.

Che consigli darebbe a chi vuole iniziare?
Bisogna adeguarsi al proprio tempo, con un linguaggio e un modo di muovere la telecamera (che non è più la cinepresa) adatto all'occhio contemporaneo. Si deve provare a far qualcosa di nuovo che dall'Italia possa interessare anche l'estero. Il problema è che preoccupandosi di piacere a un pubblico internazionale si rischia di appiattire molto l'originalità. Muccino con La Ricerca della Felicità ha fatto un film americano che scopiazza Ladri di Biciclette, La vita è bella e tutti i film coi bambini. Alla fine ha fatto 140 milioni di incasso per cui non puoi parlarne male, però non è di nessuno interesse, è solo l'ennesimo ricatto morale. Ormai o ti metti lì a costruire qualcosa di gigantesco e costoso o lavori sul piccolissimo: tu i tuoi amici e una telecamerina, e vedi di mettere insieme un cortometraggio e se poi la cosa è bella qualcuno l'andrà a vedere.




Il cinema italiano…
Oggi non esiste un vero cinema italiano. Trent'anni fa la situazione era diversa: c'erano i film di Natale che incassavano sempre molto, ma venivano prodotti anche altri 150 film che uscivano in un anno per accontentare tutti i gusti. In America invece la situazione è rimasta stabile: sfruttano il grande ricambio generazionale per restare aggiornati sul mercato. Da noi invece finché non muoiono lavorano, Mastroianni se non moriva lavorava ancora. Questo con tutto il rispetto per i grandi maestri, non è un sintomo di abilità. Lo dico contro il mio interesse perché se ci fosse una generazione di ventenni che riesce a fare cose che io non so fare o non capisco, mi metterei da parte e andrei in pensione. Ma mi sembra che i film che escono adesso sono ancora più vecchi di Ratataplan. Si è fermato un sistema. Possibile che oggi nessuno faccia più film originali? Non credo, ma in sala passano solo quelli che hanno sovvenzioni statali, amministrative e soprattutto televisive, il che implica poi una certa qualità del prodotto.

Il mezzo digitale.
Ha modificato completamente i rapporti tra autore, prodotto e pubblico. Tutto è più facile, più democratico e accessibile, ma anche più complesso se pensi di dover distinguerti tra una marea di prodotti di questo genere. Poi c'è anche una certa tendenza a snobbare il digitale: la postproduzione di Honolulu Baby era tutta in digitale e questo ha scatenato i timori di molti perché tutti volevano difendere i vecchi mestieri, ora però sono tutti disoccupati. Non c'è qualcosa da rimpiangere. Sono le tecnologie che vanno avanti. Il fatto è che ad ogni sviluppo tecnologico corrisponde una moria di vecchie professioni da un lato e la nascita di nuove dall'altro. Questa non è una perdita culturale, è un fatto normale.



Per lavorare a Milano lei si è dovuto comunque relazionarsi a Roma?
Il mondo del cinema è romano: le case di produzione e distribuzione sono a Roma, come anche le sedi competenti e i ministeri che finanziano il cinema. Io a Milano ho sempre lavorato in uno splendido isolamento: non mi hanno mai regalato il permesso di girare in una strada, ho sempre pagato tutto fino all'ultimo centesimo. Milano è disattenta al cinema, non ha una film commission che serva a qualcosa favorendo chi deve girare. In generale, Milano ha sempre avuto un gusto della cultura apparentemente sofisticato ma in sostanza molto limitato: La Scala e il Piccolo Teatro. Questi sono i monumenti, il resto non interessa. Le giunte da che mi ricordo io sono sempre state molto manageriali e burocratiche. Milano non è provinciale né campanilistica, è una città a cui non importa niente di avere un cinema di successo. Sarà molto orgogliosa delle sue squadre di calcio ma il cinema non gli interessa neanche prenderlo in considerazione.

Che cos'è il cinematografico?
Diceva Zavattini 50 anni fa: quando un autore smette di andare in tram e di guardarsi in giro perde le ispirazioni per scrivere le proprie storie. Ti trovi immerso nel bene o nel male in una moltitudine di culture, di razze, religioni, disperazioni, problematiche che potrebbero essere oggetto di mille storie, molto più originali di quelle che erano le storie originali di cinquant'anni fa. Quando ho iniziato pensavo a quanto erano fortunati in America ad avere una così vasta varietà di incastri con neri, gialli, rossi, perché quella era quella la realtà di tutti i giorni. Questo fenomeno è arrivato anche da noi solo che il nostro cinema non ha ancora imparato a usare questo materiale. I film impegnati che descrivono l'immigrato sfigato, rappresentano una banalità. Io parlo di raccontare una storia normale, di un indiano che si innamora di una cinese piuttosto di uno che si trova in mezzo a un casino di religioni e culture diverse dalla sua in un condominio in cui abitano dieci etnie e credi diversi. Questo tipo di storia, magari svolta in chiave umoristica, non è ancora stata sviluppata perché siamo ancora troppo freschi per questo tipo di contaminazione. La spettacolarità della società italiana attuale non è stata ancora resa spettacolare dal cinema.


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