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Tre ipotesi sulla morte di Giuseppe Pinelli
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Milano Centrale
a cura di Antonino Valvo
Come è stato il tuo incontro con la Stazione Centrale?
Ho cominciato a frequentare la zona grazie a degli amici che si incontravano lì. Ciò che mi attraeva di più era la volontà di trovarsi all'esterno per fare comunità: una sorta di polis, dove lo spazio pubblico diventa luogo deputato all'incontro, una socialità esibita senza che nessuno si preoccupasse di ciò che poteva pensare la gente.
Che obiettivo volevi raggiungere con il film?
Dei neri, dell'immigrazione, delle condizioni in cui vivono se ne è parlato molto ma sempre in maniera banale, con le storie più eclatanti e il degrado che le circonda. Io volevo concentrarmi sulle persone, su quello che pensavano e desideravano. Sapevo che non ero finanziato da nessuno e questo mi ha concesso più tempo: se volevo spenderci un anno, come poi ho fatto, nessuno me lo impediva. Il processo ha funzionato anche per questo motivo.
Come hanno reagito le persone coinvolte?
Alcune sono miei carissimi amici con cui ho condiviso ben più di un film. Gli altri le prime volte avevano timore, c'era chi non voleva farsi riprendere da una telecamera, e poi non ero africano, non ero uno di loro e questa cosa creava sospetto. Ma alla fine la curiosità ha vinto la diffidenza. Come ti sei mosso durante la lavorazione?
Abbiamo iniziato in maniera pretestuosa, con delle interviste. Si arriva a parlare dell'arte e delle donne, di politica solo quando hai tirato fuori i soliti discorsi: mi piace l'italia, sono nero, sono discriminato, ho la famiglia etc. Superato quello arrivi a un altro livello di dialogo, più profondo e originale. Alla fine c'era così tanta voglia di esprimersi che tenevo la telecamera accesa anche per 30/40 minuti.
Quando hai capito che il film era finito?
Terminate le riprese mi sono trovato con più di 20 ore di materiale. Ho avuto bisogno di tre mesi per catalogare e selezionare. Ho visto il tutto con Alessandro Tinelli che ha composto la musica e che mi ha aiutato al montaggio. Poter avere l'opinione di una persona che guardasse con occhi nuovi il girato è servito per far nascere concretamente il film.
Che via hai usato per la distribuzione?
Una volta finito il film come primo polo di divulgazione ho voluto il Festival del Cinema Africano di Milano, che ho frequentato come spettatore per dieci anni. Grazie alla visibilità che mi ha dato il festival di Milano sono stato chiamato da altre manifestazioni: Torino, Ancona, in Spagna, ad Amsterdam e addirittura Dubay.Hai mostrato il film in alcuni licei: come hanno reagito gli studenti?La reazione è stata ottima: il pubblico, composto da ragazzini cinesi, arabi, africani e italiani sentiva molto l'argomento. E non solo l'uditorio di origine africana ha risposto, ma anche ragazzi rumeni si coinvolgevano venendomi a raccontare le loro storie.
Il vicesindaco DeCorato ha pubblicizzato molto il piano di pulizia in atto in Stazione Centrale. Le persone che hai conosciuto come hanno vissuto questa trasformazione?
Male. Si avverte il momento pericoloso. La presenza dell'esercito per le strade pesa a molti di noi, immagina cosa può essere per una persona straniera, magari senza documenti che si vede schierate in mostra le forze dell'ordine: banalmente cambia aria, va altrove. Questo rende il mio film quasi archeologia, visto che quello che si vede non esiste più. È stato messo un certo freno alla criminalità ma sia gli aspetti positivi che quelli negativi continuano, solo non sotto i riflettori. Avvicinandosi l'Expo vogliono presentare la città come un vetrina perfetta ma è un'operazione inutile senza delle vere politiche di risoluzioni ai problemi. Per ora quello che è stato fatto è solo aver spazzato via i problemi come si fa con la polvere sotto il tappeto.
Il Signor Perelà?!
Dopo Cristo, Perelà. Arriva leggero e innocente l'uomo di fumo che riscriverà il Codice. Più precisamente arriva al Teatro Litta con lo spettacolo Il Signor Perelà?! in scena dal 24 novembre al 14 dicembre 2008 e tratto dalla novella di Aldo Palazzeschi Il Codice di Perelà. Di ispirazone futurista, il romanzo è ben più che un semplice modello del movimento artistico e culturale che esplose in Italia nel 1909 con il Manifesto di Marinetti. La vicenda dell’omino di fumo che con la sua venuta sconvolge l'impero delle convenzioni diventa, nella sua frivolezza, senza tempo. Lo spettacolo, per la regia di Mariano Furlani, è la prima produzione della stagione del Litta, nonostante la genesi del progetto risalga a due anni fa, durante la lavorazione di Visioni di Solaris, altra produzione del teatro di corso Magenta. A tre attrici venne lanciata dal regista Antonio Sixty una sfida: portare in scena un testo scelto e elaborato in completa libertà, con a disposizione mezzi e spazi del teatro. A rendere concreto il lavoro delle tre giovani l'incontro con Mariano Furlani a cui va il merito di aver catturato e reso palpabile l'atmosfera ironica e insieme feroce del romanzo. Grazie al prezioso supporto di Raffaele Rezzonico, l'adattamento è insieme sintesi e superamento del testo originale: il coro di personaggi che accoglie Perelà è concentrato in tre voci dall'umanità tagliente. Bianca Delfino Bicco Delle Catene, una debole figura che trascina come un fantasma il suo amore per la non vita (e per la morfina); Donna Giacomina Bàrbero di Ca' Mucchio, femmina devota alle convenzioni, sui cui rituali della quotidianità basa ogni sua certezza. Infine la Duchessa Zoe Bolo Filzo apoteosi della femme fatale, feroce seduttrice e fredda dominatrice delle anime di tutti gli uomini. Vittime tutte e tre dell'illusione infranta chiamata uomo cercano di proteggersi, ognuna a suo modo, fino all'avvento di Perelà. A queste tre dame è dato il compito di ricevere l'Uomo di Fumo e subirne l'incanto. A tre giovani donne, in ordine Isabella Macchi, Stefania Umana e Sara Bellodi, quello di portarle sulla scena. La dimensione letteraria del testo si realizza nello spazio raccolto che è la sala LaCavallerizza del Teatro Litta, ricavata da una vecchia stalla. Su una scena essenziale ma multiforme, data da tre cassettoni mobili dipinti con il tricolore nazionale, vivranno le immagini della poesia di Palazzeschi. I costumi, realizzati da Marcella De Faveri, sono rappresentazione dei caratteri portati all'eccesso, esplosione di personalità immaginarie che danzano su sonorità futuriste. La struttura di convenzioni e buone maniere presa di mira con ironia grottesca e spietata, prende forma in una messa in scena che sfiora e combina il cabaret surrealista, le esperienze futuriste, il melodramma borghese.
Perelà? Risolverà? Si chiedono le tre Dame. Perelà prende forma nelle loro parole, nei loro racconti, impalpabile come un ricordo e, come la speranza, aureo. Un uomo perfetto, un amante ideale, il nuovo salvatore, il Dio che realizzerà ogni desiderio, crocifisso per risorgere. Egli è tutto questo ma plasmabile come una diceria, nei mormorii delle tre dame diviene anche il bugiardo, lo sciagurato che si approfitta della debolezza femminea: in fondo è sempre un uomo, mormora Zoe. Come il nuovo Gesù di The Second Advent di Mark Twain, il nebbioso messia di Palazzeschi una volta rivelato non verrà accettato dal suo popolo. E scacciato volerà via, nel cielo, risorgerà fra le nuvole. Come Cristo. Dopo Cristo. Perelà.
Antonino Valvo
Dal 25 novembre al 14 dicembre 2008
LITTA_produzioni
DEBUTTO NAZIONALE
SIGNOR PERELÁ?!
Da Il Codice di Perelà di Aldo Palazzeschi
Regia Mariano Furlani
Consulenza al testo Raffaele Rezzonico
Con Sara Bellodi, Isabella Macchi, Stefania Umana
Disegno Luci Fulvio Melli
Costumi Marcella de Faveri
Sala La Cavallerizza
Corso Magenta, 24 Milano
repliche dal martedì al sabato alle 21.00 – domenica 17.00 – lunedì riposo
biglietti € 12/ €9